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lunedì 14 dicembre 2015

Secret Talk With Mr.G. - E.J. Gold - IDHHB, INC.

Padroneggiare l’animale
L’informazione non può essere tramessa a nessuno, ma la conoscenza può essere trasmessa solo alla famiglia, da padre in figlio.
Le note che colmano “mi-fa” e gli intervalli “si-do” non esistono nella stessa ottava. Per attraversare l’intervallo lo si deve prendere in prestito da un’ottava diversa.
Il primo intervallo si verifica appena si entra nel lavoro. Esso è il “desiderio di lavoro” – desiderare qualcosa di più che vivere.
L’insoddisfazione è il risultato di molti anni di immersione nella vita e la realizzazione finale che niente di ciò che ci offre valga qualcosa.
Il lavoro sul desiderio deve entrare in un’altra ottava di influenza.
Questo è il primo intervallo “mi-fa” della scuola. Qui per i nuovi candidati c’è solo l’uno per cento di desiderio di lavoro contrapposto al novantanove per cento di desiderio personale. Alcune persone arrivano, in questa fase, per capriccio, altre sentono una reale necessità.
Se il desiderio di lavoro diventa attivo, uno può lavorare regolarmente senza aiuto esterno fino all’intervallo “si-do”, momento in cui un altro shock esterno deve essere fornito così che uno possa continuare.
L’intervallo “si-do” è il periodo di lavoro su se stessi, nel quale uno arriva faccia a faccia con la propria caratteristica principale, o animale. Durante questo momento di ricognizione è necessario che l’animale, prenda coscienza del suo interesse per progredire rapidamente oltre questo punto assolutamente essenziale. Se uno rimane passivo l’animale ne uscirà vittorioso. Una vota che l’animale è cosciente delle vostre attività, è solo questione di poco tempo, prima che comincerà a lottare senza pietà, in modo totalmente spietato, per continuare la sua vita.
Quando tu e l’animale siete faccia a faccia, è come vedere due avversari per la prima volta. Insieme a questo shock di riconoscimento, c’è per entrambi un vero un reale odore di pericolo. Quando questo si verifica è subito necessario lottare per la vita, perché avete tuttalpiù tre mesi prima di padroneggiare l’animale o lui diventerà il padrone. Esso può essere padroneggiato solo se non sa che sta per esserlo.  Se diventa cosciente di queste vostre attività intenzionali, userà ogni mezzo per rimuovere da se stesso la fonte di irritazione – che in questo caso è la scuola.
Ci sono scuole che insegnano all’animale a superare l’essenza. Gli alunni di tali scuole hanno una grande fantasia per spiegare a se stessi e agli altri le ragioni del loro amor proprio.
L’introduzione di queste idee è sufficiente a far precipitare questa lotta. Il solo sentire queste idee, senza agire su di esse, può condurci più vicino al punto di riconoscimento.
È pericoloso arrivare al punto-di-riconoscimento quando uno non è preparato, non possiede tecniche reali, e non può ottenere aiuto e dati per padroneggiare l’animale.
Per ottenere l’attenzione dell’animale quando si desidera attivare questa lotta, si deve evocare l’animale con la conoscenza. Nel suo vecchio significato, evocare, significa “con la conoscenza”.
Se uno conversa con il proprio animale, uno può parlare con qualsiasi animale, in tutto, due-cervelli e un-cervello, il linguaggio dell’animale è lo stesso.  Questo è il vero significato della storia di San Francesco d’Assisi che sapeva parlare con gli animali e li padroneggiava con amore. In fine, è anche possibile fare questo con l’animale selvatico. Per rendere obbediente l’animale, bisogna fare piccole cose. Lo sviluppo di una speciale volontà interna inizia nel centro motore. Se sai come farlo in un centro, fornisci indizi necessari per lavorare, dirigendo l’attenzione di tutti i centri.
La battaglia per dominare l’animale è come l’angelo e il diavolo.
Quello che una volta era per voi un paradiso, e che desideravate mantenere il più calmo e tranquillo possibile, diventa ora un campo, da cui conseguono una serie di battaglie campali. Questa lotta è una funzione dell’essere. Non è qualcosa che si può fare o non fare. Si può paragonare questo alla situazione di uno scassinatore chiuso dentro una cassaforte corredata involontariamente da una bomba, predisposta per esplodere ad un tempo sconosciuto. La bomba non può essere raggiunta e il fusibile e il timer non possono esser smontati fino a quando non si apre la cassaforte. Lui con conosce la combinazione della cassaforte ma ha tutti i suoi strumenti da ladro la sua conoscenza di casseforti e serrature. Lui deve lavorare in modo rapido ed efficace. Allo stesso tempo, non deve pensare nemmeno una volta alle possibili conseguenze, mentre lavora per liberarsi da questa situazione. Se anche per un attimo perde se stesso, quello sarebbe potuto essere il momento cruciale a lui altrimenti necessario. Forse il margine di errore è solo un momento. In questo caso la bomba esplode e lui è morto. Anche se, deve lavorare sotto estrema pressione, non deve permettere alle tensioni di interferire con le sue abilità. È così che si si deve lavorare con l’animale per dominarlo. Dovete diventare un professionista a tutti gli effetti. Vari fattori nel padroneggiare l’animale diventano importanti, quando prima non lo erano. Per stare con, si deve essere molto furbi. In questo modo, si possono esigere delle promesse dall’animale in cambio di piccole cose – ma queste piccole concessioni devono essere innocue; e, se possibile, capricciose. Per esempio, si può permettere all’animale di “andare allo zoo per un giorno” in cambio del fare una buffa faccia di fronte a tutti. Si deve offrire qualcosa di innocuo, ma interessante per l’animale, in cambio di qualcosa di piccolo che all’animale non dispiccerebbe fare come compito di pagamento. Se non si riesce a pensare immediatamente a un metodo di pagamento per l’animale, non si deve farlo.  Solo con uno scambio preciso questa tecnica di lavoro è realmente efficace. Questo metodo è chiamato fattore di contrattazione.
Dopo che la promessa è stata fatta, all’animale è data la sua ricompensa. Questo è il fattore di ricompensa. L’animale potrebbe non essere totalmente soddisfatto, ma la ricompensa non può essere negata. L’animale si arrabbia molto e si acciglia pericolosamente. Per negoziare con l’animale, bisogna sapere molto bene ciò che l’animale vuole. Qualsiasi aiuto usato nel fare affari con l’animale è chiamato fattore di assistenza. Possono essere Armagnac, sigarette, caffè turco. Ci vuole esperienza per essere in grado di utilizzare i fattori di assistenza. Si deve rendere l’animale piacevolmente brillo senza ubriacare se stessi. Studiare per trovare il fattore di vulnerabilità dell’animale.
Tuttavia è necessario nascondere la propria vulnerabilità. 
Nella negoziazione con l’animale, tu devi sapere quando essere capace di dire “no” e quando non esserlo. Se tu provi a fermare l’animale e gli permetti di disobbedire, anche una sola volta, non potrà ma più obbedirti. Non ti prenderà sul serio. Si deve dire “no” solo quando si ha la volontà di far rispettare quel “no”.

Traduzione Mariangela Mattoni


Secret Talks With Mr. G. di E.G. Gold - IDHHB, INC.


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venerdì 13 novembre 2015

Secret Talks with Mr. G., vol. 2, cap. 7 – E.J.Gold

La ricerca del dott. Livingstone

Qualcuno nel gruppo fece una domanda sul ricordo di noi stessi, su come riportare la nostra attenzione.
“Eh” G. incominciò burbero ma con un lieve sorriso. “Adesso vedete un po’ di verità, non solo della piccola verità ma della Verità con la V maiuscola. Non è possibile scoprire l’America se quando raggiungiamo la destinazione in cui si pensava di arrivare navighiamo al di là dei limiti del mondo.
L’uomo vede se stesso come un caos oggi, ed un altro domani. Oggi è solo un uomo ordinario, domani può essere un topo, e solo ieri era il Sig. dio. Quando non abbiamo un’identità reale, possiamo divenire qualunque cosa ci sia suggerita da influenze interne ed esterne, soprattutto, possiamo divenire entità differenti quando non abbiamo “presenza”.
Quando passiamo ogni porta verso una nuova identità come ci è suggerito dalle nostre influenze, dovremmo sforzarci di vederci in ruoli in continuo cambiamento. Possiamo quindi vedere chiaramente che non siamo oggi gli stessi che credevamo di essere ieri, che non abbiamo un’identità oggettiva, perché non siamo adesso ciò che eravamo ieri o il giorno prima.
Il vero sé non muta mai. I falsi sé mutano continuamente e divengono una cosa o un’altra. Riteniamo di essere qualunque cosa dentro la quale cadiamo, come bambini che giocano che finiscono per credere in quello che fanno finta di fare.
Possiamo ritirarci per un momento, possiamo vedere che ci siamo identificati come questa o quella entità. Quando ci mettiamo la lana sugli occhi non possiamo sapere che siamo caduti in un’identità. Una volta ogni tanto, però, se combattiamo, possiamo sapere che siamo caduti e possiamo guardarci indietro su di essa e dire a noi stessi “io non sono quello”.
Per ogni identità entro la quale siamo caduti, possiamo apprendere a guardarci indietro e ricordarci “io non sono quello”, rifiutando tutte le identità che non sono eterne ed immutabili, impiegando nuovamente ciascuna di esse con la testardaggine di un mulo ed allo stesso tempo desiderando con tutta la nostra forza di scoprire in noi quella sola identità che non muta e non può mutare ad ogni soffio di vento.
Possiamo impiegare questo esperimento per scoprire i nostri veri sé come cercheremmo di trovare il Dott. Livingstone. Continuare questa ricerca, osservare i sé impermanenti e transienti fino a che non trovate il vostro Dott. Livingstone.
Solo allora siamo in grado di dire senza mentire che stiamo cercando di ricordarci di noi stessi, perché solo allora abbiamo un sé autentico da cercare di ricordare.
Osservate tutte le impressioni dal punto di vista di questo sé nuovo ed immutabile. Assumere questa stazione per l’osservazione della macchina può essere chiamato “terzo occhio”. Quando, oltre a questo, riconciliamo tutte le contraddizioni interne, diciamo che abbiamo aperto il terzo occhio.
Se siamo in grado di vedere in modo imparziale un’identità transitoria mentre questa è ancora in vita, potete dire “non questo” invece di “non quello”; dirlo al presente invece che nel passato, ma con attenzione supplementare perché l’identità è ancora attiva.
Tutte le identità ordinarie vengono dalla personalità, ed in ogni caso quelle identità che possono successivamente divenire altre identità non sono il sé autentico.
L’uomo ordinario vede e manifesta dal centro che è il più urgente al momento e le cui influenze suggeriscono per associazione che dovrebbe essere al comando dell’organismo almeno momentaneamente. L’uomo è sotto la continua influenza della vita organica, il suo grande nemico, e tuttavia non deve mai combattere direttamente contro la vita organica.

Possiamo essere il sé reale in ogni momento. Dobbiamo vedere come le mutazioni del sé distorcono la nostra comprensione del Mondo reale. Magari siamo Dio in uno stato, forse all’inferno, ma potete togliervi da tutto ciò e non essere così il giorno dopo, quindi esse non possono essere il sé reale. 

RE NUDO Numero 68 – marzo/aprile 2003 – Traduzione di Marco Maria Bonello (ibjbon@tin.it


Secret Talks with Mr. G. di E.J. Gold



sabato 3 ottobre 2015

Secret Talks with Mr. G., vol. 2, capitolo 6 – E.J. Gold

La Lotta dei Maghi

Il gruppo chiese se avremmo mai visto il balletto “La lotta dei Maghi”.
G. rise profondamente e disse che avremmo potuto coreografarlo e metterlo in scena noi stessi, e che di fatto eravamo gli unici a poterlo fare; lui poteva “mettere a punto il palcoscenico” e “sistemare le luci” ma in ultima analisi noi eravamo i registi del balletto, i direttori di scena ed i coreografi.
Un balletto di questo tipo può essere messo in scena solo se si conoscono i nome dei due antagonisti principali, i potenti maghi che rappresentano le forze della luce e del buio, uno che si chiama “Ayo Vertabed” (Dottor Sì) e l’altro che si chiama “Na Vertabed” (Dottor No).

Sebbene entrambi impieghino gli stessi metodi ed i loro eserciti siano composti esattamente dagli stessi soldati, quando l’uno o l’altro diviene attivo, i loro lacchè sono di due caratteri completamente opposti.
Ordinariamente il loro stato di guerra semplicemente accade; non è organizzato e perciò è inutile per il nostro lavoro. Dobbiamo trovare un modo di organizzare la loro guerra e di renderla profittevole per il nostro lavoro. Dobbiamo diventare industriali delle munizioni, fornire il materiale e continuare ad alzare l’uno contro l’altro. È nostro interesse mantenerli in guerra l’uno contro l’altro.
Nell’uomo ordinario troviamo, se ci prendiamo la pena di guardare, la presenza di condizioni reciprocamente inconciliabili di sensazioni, pensieri, ricordi, modi di dire e manifestazioni, che non rappresentano che una frazione di un qualche tutto sconosciuto.
Tutte queste condizioni si oppongono in modo alquanto potente l’una all’altra e non possono coesistere pacificamente nello stesso organismo. Come dice il cow boy americano, “Questa città non è abbastanza grande per tutti e due”.
Ogni singola cellula dell’organismo può essere un condensatore di accumulo per un umore, un’idea, una manifestazione o un ricordo. Essi si accumulano senza prendere in considerazione la logica o la ragione poiché non vi è presenza di un singolo “io” che sia in grado di dare una categoria precisa ad un’impressione quando questa entra nella macchina.
Tutte queste contraddizioni si collocano in parti differenti dei centri in cui “è semplicemente successo” si sia accumulato allo stesso modo “piove” o “splende il sole”; esse non sono in grado di fondersi e di costituire il modo interiore di un uomo completo.
Se l’uomo ordinario dovesse improvvisamente sentire tutte queste contraddizioni in se stesso allo stesso momento senza degli speciali ammortizzatori, egli sarebbe continuamente tormentato e confuso, sentendo di essere divenuto matto; per poter funzionare, però, egli si è creato da qualche parte degli ammortizzatori che fungono da dispositivi di isolamento fra queste contraddizioni interne.
È per via di questi ammortizzatori che egli è in grado di esistere molto tranquillamente malgrado un centro di gravità che si sposta continuamente e di una differente serie di opinioni, idee e umori ogni momento o due.
Senza questi ammortizzatori egli avvertirebbe inevitabilmente l’orrore del caos interiore, il suo vero stato organico. Un uomo senza unità non può vivere a lungo senza ammortizzatori; egli deve o schiacciare queste contraddizioni come fossero una pulce, schiacciare come una pulce la propria coscienza, oppure andare in manicomio.
Anche se non può esattamente distruggere la coscienza, egli riesce a dormire più o meno bene ponendo questi ammortizzatori fra tutti i dati del suo mondo interiore.
Questi piccoli “me”, se presi tutti insieme, formano il suo falso io, o ciò che chiamiamo “personalità”.
È alla presenza e dialogo continuo di questa macchina artificiale della personalità che l’uomo ordinario attribuisce il suo meraviglioso “essere cosciente”.
Tutto ciò non può fare a meno di danneggiare la macchina, renderla sporca ed arrugginita. In alcuni luoghi si sono posti questi meccanismi artificiali composti da ammortizzatori molto potenti al fine di evitare la distruzione completa. Se questi venissero manomessi da un dilettante, la macchina si ridurrebbe rapidamente in conduzioni irrimediabili.
È vitale comprendere che l’isolamento avviene solo perché ogni sfaccettatura della personalità è accumulata in una parte differente di un differente centro. Ciò avviene a caso ed una qualunque parte della personalità può accumularsi in una qualunque parte di qualunque centro.
Nello studio di queste contraddizioni ammortizzate possiamo considerare come una forma completa, anche se caotica, tutti quei piccoli “me” che compongono quella macchina complessa che chiamiamo “personalità” cui l’uomo attribuisce tutti i suoi atteggiamenti, potere, idee, iniziative e presenza.
In breve, la personalità attribuisce a se stessa degli attributi.
L’uomo ordinario ha in se stesso la presenza di questo “ego” piuttosto che la presenza del suo vero “io”, capace di sola e semplice presenza. Solo molto più tardi l’”io” sarà in grado di apprendere a dirigere la macchina, e solo una volta che tutti gli ammortizzatori siano stati eliminati.
In un uomo in cui ciascun ammortizzatore contiene un “piccolo me”, vi è un centro di gravità che si sposta continuamente e che sembra una gemma molto complicata con molte facce, che cambiano secondo modelli che possono apparire casuali, che però di fatto obbedisce a certe leggi che possiamo apprendere e capire.
Impiegando la forza della riconciliazione, possiamo apprendere a fondere queste contraddizioni, a “sollevare Atlantide”, e quindi a far crescere l’organo della “coscienza”.
Le nostre storie di vita reale sono rivelazioni di noi stessi alla luce di queste contraddizioni, e la oloro riconciliazione finale possiamo chiamarla “redenzione”. Riconoscendo questa storia di vita reale e fondendo queste contraddizioni possiamo riparare al passato e redimere noi stessi per il lavoro superiore.
Per fondere queste contraddizioni è necessario eliminare gli ammortizzatori che si sono posti fra loro. Lo scontro diretto di forze di contraddizione in opposizione fra loro possono fare questo per noi se solo sappiamo come impegnarle in combattimento. Gli ammortizzatori sono troppo piccoli e non sufficientemente solidi perché noi siamo in grado di afferrarli direttamente.
Ordinariamente conosciamo solo un terzo della storia della nostra vita in ogni momento, a seconda di quale “piccolo me” è presente in quel momento. In questo senso, quella parte di se stesso che l’uomo crede di conoscere meglio e che lui crede sia il suo alleato più stretto è il suo vero nemico, la fonte del suo amor proprio e della sua vanità.
L’unità e la coscienza interiore possono essere ottenute mediante la creazione intenzionale di condizioni interne per la battaglia fra le forze del “sì” e del “no”. Questa battaglia dovrebbe assumere una forza definita ed avere un obiettivo definito.
Per evocare una grande battaglia di “sì” e di “no” è necessario sacrificare qualcosa di grande, altrimenti la macchina rende tutto uguale a qualsiasi altra cosa e il mondo interiore diviene solo “rose”, “rose”.
Dobbiamo trovare uno scopo sufficientemente importante per il “Dottor Sì” contro il quale il “Dottor No” si senta costretto a inviare tutte le sue forze. Deve essere una minaccia molto grave altrimenti il Dottor No non emergerà dalla sua usuale compiacenza, qualcosa che lo faccia spaventare molto, contro la quale egli continuerà a combattere senza pietà.
Quale scopo possiamo dare al nostro “Dottor Sì” che conduca il “Dottor No” ad una disperazione tale da fargli dichiarare lo stato di guerra?

Fece una breve pausa, con un dito sulla bocca, e poi proseguì: Per generare necessità organiche al nostro “Dottor Sì” e gratificazione personale al nostro “Dottor No”, dobbiamo almeno provocare il nostro centro istintivo-motorio poiché combatta per se stesso. Ma come possiamo fare questo per l’insieme di noi stessi e non per un solo centro della macchina? Come possiamo fare di noi un centro psichico per la lotta?

Dobbiamo in primo luogo comprendere che “sì” e “no” sono la stessa cosa di “amore” e “odio”.
Per colui che “ama” il gelato, ma “odia” il cinema o la zuppa di piselli non è possibile comprendere “sì” e “no”.
Sì e no non sono atteggiamenti o sensazioni, ma forze che si oppongono.
Possiamo fare qualche piccolo esempio di obiettivi in conflitto fra loro che forse possono aiutarci a mettere in scena il balletto della “lotta dei maghi”.
Ad esempio quando siamo stanchi possiamo rifiutare di giacere e riposarci e magari fare un lavoro molto pesante quale scavare una fossa o erigere un muro. Possiamo, se siamo attratti dai dolci, mettere davanti a noi un bon-bon e negarci questa piccola indulgenza.
Possiamo forzare le nostre macchine a lavorare con un tempo differente da quello normale; possiamo rifiutare di esprimere piacere o fastidio nei modi usuali; possiamo intenzionalmente rimanere in compagnia di qualcuno che ordinariamente ci ripugna, soprattutto qualcuno la cui chimica ci ripugni. Per forzare idee in conflitto da riconciliare dobbiamo, se necessario, essere pronti a giacere e a convincere noi stesse che stiamo in piedi.
Questi piccoli conflitti sono facili da comporre. Successivamente, per mettere in scena un balletto reale, dobbiamo coinvolgere questi due potenti maghi in una vera lotta per sopravvivere. Il balletto deve avere un grande conflitto per mantenere la lotta fra queste grandi forze.
Ho un’idea. Trovate lo scopo di conflitto più grosso possibile, che metta a questi due maghi la voglia di combattere. Deve trattarsi di un conflitto così grande che entrambi si sentano costretti a combattere per sopravvivere, tuttavia non così grande che l’organismo si ammali per effetto della battaglia.
Dobbiamo avere un balletto di combattimento, non esattamente come la guerra ordinaria; vi è sia bellezza sia orrore, ma non è che semplicemente accadono: sono coreografe, messe in scena e controllate dal regista.
Se potete trovare lo scopo di conflitto finale per il quale entrambi i maghi si sentono obbligati a combattere per ottenere la loro stessa vita ed impedire quella del nemico, date prova di comprendere la vostra macchina; in quel caso può esservi d’aiuto. 
Non ha importanza quale parte vinca, il risultato è lo stesso perché il “Dottor Sì” ed il “Dottor No”, come i loro danzatori-combattenti, sono lo stesso individuo, entrambi i ruoli giocati dallo stesso attore, il vuoto che combatte contro il nulla.
Cercate di vedere come questo possa essere un esperimento reale per voi, e che potete fare adesso, non semplicemente un divertente filosofare.

Qualcuno nel gruppo chiede come si potesse fare “Non ci avete dato abbastanza per lavorarci su” disse J. “come possiamo incominciare questa battaglia a meno che non ci diciate più esattamente come procedere”?
“Basta” disse G. “ho addirittura dato troppo. Oggi non una parola di più”.


RE NUDO Numero 67 – gennaio/febbraio 2003 – Traduzione di Marco Maria Bonello (ibjbon@tin.it)  

Secret Talks with Mr. G. di E.J. Gold


lunedì 14 settembre 2015

Secret Talks with Mr. G., vol. 2, capitolo 5 – E.J. Gold

Un augurio per tutti

Ci riuniamo nuovamente nell’appartamento ignorando la grigia strada fangosa sotto di esso. Un altro temporale si era aggiunto agli strati ghiacciati della neve cittadina coperta di fuliggine, la temperatura era salita ad un piacevole livello di 30 gradi F. 

G entrò e sedette su di un cuscino che uno dei membri aveva procurato. Tutti noi ci prendemmo mentalmente a calci per non averci pensato. Il tappeto non era mai stato rimosso, ed eravamo contenti dell’imbottitura, poiché sarebbe stato molto scomodo sedersi sul solo palchetto di legno. 

G. incominciò il suo discorso per quella sera.
Nella vita ordinaria non vi è in noi un’unità che desideri la stessa cosa sempre ed in ogni occasione. 
Talvolta vogliamo qualcosa ed un momento dopo qualcosa di completamente diverso. Nell’uomo ordinario nella dà a lui “un centro di gravità per i suoi desideri”.
Possiamo generare l’inizio dell’unità creando in noi un centro di gravità speciale per desiderare ciò che chiamiamo il nostro “desiderio di lavoro”. 
Un forte desiderio di “lavoro” è un obiettivo che è divenuto per noi almeno temporaneamente più importante di qualunque altra cosa nella vita, almeno fino a che non è stato ottenuto in una misura che ci soddisfi. Per lo scopo di questo esperimento è necessario che impariamo a fare tutto quanto in relazione a questo nostro desiderio di lavoro.
Se continuiamo nel modo ordinario fino a che tutti i nostri desideri impulsivi interiori in conflitto finiscono per neutralizzarsi l’uno con l’altro, finiremo per non avere più desideri che rimangano in noi. A quel punto non avremo altra scelta se non scivolare senza possibilità di aiuto e senza nessuno scopo verso la morte ordinaria come i cani. 
Sopravviviamo nel “lavoro” fino a che abbiamo “capacità di desiderare”. La sopravvivenza del nostro desiderio ha la sola proprietà di consentirci di completare il nostro lavoro, per questo scopo però dobbiamo essere più grandi di noi stessi ed avere un’esistenza che vada oltre le nostre piccole vite. I desideri ed i “voleri” ordinari sono molto più piccoli di noi, quindi dobbiamo in primo luogo scoprire qualcosa che sia più grande. Purtroppo la maggior parte della comprensione dell’uomo è limitata a ciò che è più piccolo di lui. 
Se potessimo vederci psicologicamente dissezionati, vedremmo una complessa organizzazione interna di molti piccoli “me”, ciascuno con i propri desideri, il proprio potere, i propri pensieri e sensazioni, con le proprie convinzioni ed in particolare con le proprie manifestazioni
Ciascuno di questi è convinto della propria realtà e del suo diritto a guidare l’organismo, almeno momentaneamente. Ciascuno è anche convinto di essere in grado di agire indipendentemente e di avere autorità completa sulla “macchina”. Ciascuno è convinto del suo diritto di chiamare se stesso “io” quando fa riferimento all’identità generale della macchina. 
L’unità di questa complessa disorganizzazione di parti può generarsi solo per effetto di un lungo sforzo che fonda le sue parti in un tutto equilibrato. Nella vita ordinaria questa fusione non potrà mai avvenire per semplice accidente. Possiamo “forzare” il prodursi di questa fusione solo mediante un’alchimia interna intenzionale
Per avviare un processo di alchimia interna dobbiamo incominciare con l’immaginario, e sperare che un giorno divenga reale mediante la ripetizione continua. Non possiamo aver risultati dopo che abbiamo provato solo una volta o due, e dobbiamo comprendere esattamente che cosa stiamo cercando di fare. 
Solo con una chiara idea del nostro scopo si può ottenere un cambiamento mediante gli sforzi immaginari che facciamo all’inizio. 
Evidentemente, è solo a goccia a goccia che uno sforzo immaginario diviene reale, ma dobbiamo incominciare da qualche parte. 
Prima di questo esperimento, e prima di qualunque esperimento da adesso in poi, ricordate di fare un “augurio per tutti”, un giuramento di forza più grande che con semplicemente un desiderio per se stessi. Molti hanno sempre una necessità più grande che non uno solo. La sopravvivenza del nostro desiderio dipende dalla nostra capacità di raccogliere il potere della necessità. 
Questo “augurio per tutti” fatto dentro di noi può collegarci un giorno con il Corpo Mistico del Cristo che esiste sempre fuori dal tempo in tutte le età, da molto prima che il vostro Gesù vivesse e morisse. 
Solo quando tutti i centri hanno vivo il desiderio allo stesso tempo per la stessa singola cosa possiamo dire che in un uomo c’è un inizio d’unità. Lui può dire “io desidero” senza che nessuno rida
Può darsi che crediate ancora di poter desiderare solo per voi stessi. Forse è possibile, non lo so, ma per me, io non posso fare qualcosa solo per me. Se desidero, deve essere per il massimo bene che si possa ottenere. È così che sono forzato a divenire un Uomo Astuto. 
Un Uomo Astuto può darsi abbia ottenuto questo o quello, ma una cosa è certa. Poiché ha ottenuto l’imparzialità anche nei confronti dei suoi stessi obiettivi, egli non ha necessità per se stesso. Tuttavia, allo stesso tempo, può avere un’anima che soffre in modo indicibile ogni giorno di più che egli è forzato a trascorrere “in esilio”. 
L’uomo Astuto è forzato a divenire un insegnante, è anche un ladro, forzato dal destino ad aiutare se stesso aiutando gli altri, ma lui a chi può rivolgersi? Tutti quelli della sua gradazione sono sulla stessa barca. 
Deve cercare aiuto altrove attraverso i propri sforzi e le proprie fatiche.
Può trovare molti che abbiano necessità ma che non abbiano i mezzi o la dottrina. Può trovare un modo di intrappolarli nella sua sfera di influenza in modo di forzare il destino a fornire un mezzo per i suoi allievi ed allo stesso tempo fornire a lui la necessaria comprensione per continuare il suo lavoro. La conoscenza deve già possederla. 
Se i suoi allievi possono essere spinti ad avere la genuina necessità e non solo la curiosità teosofica, escludendoli allo stesso tempo da tutte le fonti ordinarie di aiuto, l’Uomo Astuto può, mentre trasmette i mezzi per soddisfare le necessità dei suoi allievi, prendere anche ciò di cui egli stesso ha bisogno. In questo modo può generare una necessità per se stesso senza avere una genuina auto-necessità.
L’Uomo Astuto è forzato a divenire un esperto nel fornire ad altri una volontà genuina di lavorare, in particolare nei confronti dell’obiettivo per cui sta lavorando in quel momento. 
L’Uomo ordinario non ha necessità per se stesso, e nessun modo di scoprire da solo la Dottrina. Non può creare un Metodo per se stesso, e dipende perciò dall’Uomo Astuto per la sua iniziazione nel Lavoro e per i suoi primi sforzi. 
L’Uomo Astuto ha appreso qualcosa che solo desiderando qualcosa di più grande di se stesso può ottenere in sé un qualcosa che abbia valore.
Può apprendere e prendere ciò di cui lui ha bisogno fornendo ai suoi allievi ciò di cui loro hanno bisogno.
Naturalmente deve anche fornire loro la necessità che saranno poi obbligati a soddisfare. 
Facendo sforzi per altri possiamo ricevere intenzionalmente per noi stessi ciò di cui abbiamo bisogno. Per esprimere un desiderio più grande di noi dobbiamo apprendere a conformarci alle leggi della necessità del lavoro. Possiamo apprendere queste leggi ed applicarle come necessario, a condizione che noi consideriamo e rispettiamo altri che sono trascinati nel nostro lavoro. 
Dobbiamo apprendere a mettere gli altri davanti a noi, a servire le loro necessità prima delle nostre al fine di trarre competo vantaggio da questa tecnica. Ciò significa essere coscientemente egoisti nel senso del servizio ad altri per profitto personale. 
Fornendo le condizioni di lavoro, l’insegnante ottiene un’esperienza genuina per la comprensione di se stesso. Potete anche impiegare questa tecnica formando gruppi e dando loro quello che apprendete qui. 

Ora vi darò una piccola intenzione di lavoro che potete impiegare per voi. Quando fate un sacrificio di qualunque cosa per il vostro lavoro, quale quello di un’emozione inferiore, di una sigaretta, o di un superalcolico, dite con la forza più piena possibile del sé interiore “desidero che i risultati di questo piccolo sacrificio siano impiegati per il beneficio di tutti gli esseri, ovunque”, e fate riverberare questo nel plesso solare. 

RE NUDO Numero 55 – Anno VI – novembre 2001 – Traduzione di Marco Maria Bonello (ibjbon@tin.it)  


Secret Talks with Mr. G. di E.J. Gold

domenica 2 agosto 2015

Secret talk whit Mr. G. volume 2, capitolo 3 – E.J.Gold

Un mulo con la faccia rossa

Lo studio delle manifestazioni negative è un bene per voi; poi sarete in grado di registrare con chiarezza nelle vostre impressioni in fatto che tutte le azioni che adesso attribuite alla vostra iniziativa di fatto risultano interamente da influenze e che nulla viene da sé. Per effetto di questo esercizio apprenderete, senza alcun dubbio e senza argomenti provenienti dall’esterno, la vostra totale meccanicità ed anche che la maggioranza delle vostre manifestazioni è “negativa” in tutti i senso della parola.
Nel pulire la casa delle manifestazioni negative, fate particolare attenzione a quelle che offendono gli altri, io odio tutte le manifestazioni negative dal punto di vista del “lavoro”, e lo dimostro imitando le vostre posture, la vostra insofferenza ed il vostro tono di voce.

Domanda: Quando cerco veramente di ricordarmi di me stesso, produco una manifestazione particolare … Così, disse M., facendo una smorfia che fece molto ridere tutti …
“È vero, M. avete un bell’aspetto per provare. Quando cercate di ricordare voi stesso, a me sembrate un mulo con la faccia rossa!”.

Possiamo sentir parlare dei nostri possibili errori e stupide manifestazioni per anni, ma se non facciamo sforzi per vederli da soli rimangono dei “sentito dire” e noi siamo gli stessi che eravamo quando siamo venuti. Dobbiamo essere pronti a fare i nostri propri sforzi e a non dipendere da altri che ci dicono cose sul nostro conto.
L’uomo ordinario, così com’è, si rende conto soprattutto, per quanto sia in grado di farlo, dell’impressione che afa sugli altri, e si manifesta unicamente per compiacere chi lo ascolta e guadagnare in questo modo ammirazione. Se proviene dai sistemi ordinari di istruzione, tutta la sua vita preparatoria consiste nell’imparare il modo per ottenere ammirazione.
Naturalmente sia lui che gli altri devono continuamente far finta di non vedere quelle manifestazioni tonte, in cui si comportano peggio di una scimmia, e ciascuno nella propria vita ordinaria trascorre almeno una parte della giornata a preoccuparsi se è stato visto nei suoi aspetti peggiori.
L’uomo ordinario sceglie di rendersi conto solo di quelle manifestazioni che si confanno al suo amor proprio ed alla sua vanità, respingendo tutte le altre che finiscono per divenire parti invisibili del suo mondo esteriore. Questa separazione isola una manifestazione da un’altra, e genera un conflitto interiore. Queste sono contraddizioni interne che vedremo presto.
Possiamo imparare a vivere come uomini, non come macchine cui succede di assomigliare a degli uomini, e l’inizio di questo è imparare a non esprimere le manifestazioni negative.
Digiunare dal cibo ordinario può purificare alquanto l’organismo forzandolo a liberarsi dalle sostanze tossiche. Possiamo però anche digiunare in modo diverso: dalle manifestazioni inconsce, dall’apparire di emozioni negative non volute nel centro motore.
La pietà è divina, l’autocommiserazione è diabolica. Sia l’auto-commiserazione sia il sentimentalismo sono il risultato errato dello sforzo di generare un’emozione positiva dal nulla: la non-entità non può sentire un’emozione genuina. Un uomo che cerchi di sentire con il proprio centro motore esprime invece o sentimentalismo o auto-commiserazione. Ho incontrato molti uomini pii che nascondevano arroganza e auto-commiserazione sotto il mantello dell’umiltà e dell’amore per Dio.
Mantenere il sé è importante anche in un altro senso. L’uomo ha solo un numero limitato di impressioni e di manifestazioni. Economizzandole, risparmia energia per il lavoro e allo stesso tempo può prolungare la propria vita.
Quando siete tentati dal rispondere alle emozioni negative degli altri, ricordatevi del venditore americano: egli ha un’espressione “il Cliente ha sempre ragione” fate che sia il vostro motto e consentitevi l’umiliazione agli occhi degli altri di avere sempre torto o di essere in ogni caso stupido. Ciò può generare sofferenza per l’essere se potete creare un ponte verso il mondo interiore con l’affermazione “Voglio che questo sia per il mio mondo interiore”. Per creare rose per il mondo interiore dobbiamo avere le spine nel mondo esteriore. È una legge immutabile.

Qual è la manifestazione più difficile da osservare? Quelle piccole manifestazioni inconsce attraverso il centro motore. Più piccole sono, più difficilmente cadono.
La postura è una di queste “piccole cose” rispetto alla quale siamo per lo più ciechi. È la terza forza all’osservazione di sé. Camminare attraverso la morte (chiamare uno STOP) è la provincia del Gruppo di Lavoro (Fece vari esempi impiegando variazioni dell’esercizio dello STOP). Ciò connette gli esperimenti in movimento.
L’arte soggettiva fa uso della postura per suggerire emozione.
Possiamo apprendere da questo che la postura e l’emozione, almeno per l’uomo ordinario, sono collegate …
L’uomo ordinario può cadere preda dell’emozione suggerita dalla postura. Questo è il segreto di una forma di ipnotismo.

J. disse, “Avete parlato di grandi manifestazioni negative, ma stavate per dirci come vedere quelle piccole”.

G. disse in risposta, “J. Ha sempre fretta di andare da una parte o dall’altra. Tutto per lui deve essere un sistema così come lui comprende il sistema, organizzato in sequenza, tutto al suo posto come un salotto parlatorio inglese, e tutto servito su piatti d’argento, prima l’antipasto, poi la zuppa, poi il piatto, poi il dessert, e per finire, le noci.
Per vedere le più piccole manifestazioni negative, quelle più automatiche, dovete ricevere aiuto dall’esterno. Sono abitudini così piccole che non potete vederle senza aiuto. Per questo dobbiamo impiegare lo stop.
Un altro esperimento: scoprire le vostre manifestazioni “migliori” o “peggiori” e prenderne nota. Ciò obbliga a vedere in modo imparziale tutte le manifestazioni, naturalmente perderete una o due manifestazioni particolarmente rivoltanti, ma lasciatele per dopo, e selezionate la migliore o la peggiore. Può essere un buon modo di imparare. La migliore e la peggiore non saranno necessariamente la più grande o la più forte.
Qualunque idea, come la prima nota dell’ottava, ha un grande inizio, presto però diminuisce e si scioglie nel tutto di cui è solo una parte. Non addormentatevi nel mezzo di una C, suonate la nota ancora e ancora, è nuova ogni volta. Tenete acceso il fuoco, non dimenticate di fare un nuovo sforzo ogni giorno, non consentite che divenga automatico.

Se comprendete come suonare una nuova nota, comprendete tutto della legge dell’ottava. Perché un uomo si addormenta nel mezzo di una C? È la cosa più comoda per lui. Per l’uomo, per l’uomo ordinario, comodità è il secondo nome”. 


RE NUDO Numero 52 - Anno VI, luglio 2001 
Traduzione di Marco Maria Bonello: ibjbon@tin.it


Secret Talks with Mr. G. di E.J. Gold


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sabato 18 luglio 2015

Secret talk whit Mr. G. volume 2, capitolo 2 – E.J.Gold

G. sedette in silenzio per tutta la lettura del pomeriggio, respirando a fatica con un brutto colorito, e tuttavia non diede nessuna manifestazione esterna di disagio. Dopo il capitolo, egli incominciò il discorso della sera senza preamboli o domande dal gruppo.

Oggi ho notato qualcuno di voi che lavorava in cucina che litigava come dei cani di mezza età intorno ad una cagna in calore, su una qualche banalità o altra, probabilmente anche voi vi siete dimenticati di che cosa si trattasse.
Molti anni fa avevo un altro gruppo così che faceva litigare esteriori l’uno contro l’altro per faccende senza senso. Non erano come voi, che avete un desiderio reale di diventare dei candidati reali per il Lavoro. Erano occultisti e non sapevano nulla né volevano sapere nulla con comprensione.
Sembrava comprendessero l’idea di emozione negativa, valutandosi sempre fra loro di come un giorno sarebbero stati in grado di vincere le emozioni negative in loro stessi.
Allora non capivo come comprendessero le emozioni negative: per loro era semplicemente una regola in più, regola che io avevo creato dal niente e versavo nel vuoto.
Per un periodo avemmo l’occasione di vivere insieme in una piccola casa in condizioni molto difficili. Tutto il giorno e tutta la notte ognuno di noi lavorava duramente per assorbire idee. Improvvisamente dopo varie settimane esplose un litigio fra loro per una cosa da nulla, nulla in confronto alle condizioni di vita in cui furono costretti a vivere dopo.
Compresi allora che non ha importanza ciò che si diceva, all’inizio almeno essi comprendevano le idee come fosse filosofia, non molto pratica, o in ogni caso non relativa al sé superiore. Essi vedevano l’idea di emozioni negative come psicologiche in senso ordinario.
Dopo questo dissolsi il gruppo.
Vidi per la prima volta che anche il più serio degli uomini ordinari è troppo schiavo della debolezza personale, e fui costretto a riprendere in considerazione tutto ciò che insegnavo ed a cambiare il mio sistema per fare posto a queste sue debolezze.
L’”io” reale non considera seriamente questa banalità della vita sulle quali l’uomo ordinario combatte continuamente. Anche le grosse questioni non le prende troppo seriamente, al contrario della personalità che si sente interessata solo dalle banalità e si perde in piccolezze: associazioni, oggetti, condizioni di vita e addirittura quale colore devo vestire oggi.
Si può dire in questo senso che la personalità sia la somma complessiva dei riflessi del centro istintivo-motore. Riflesso significa esattamente quello che dico. Può rispondere solo quando è colpito dall’impatto di impressioni, e solo con quelle risposte che si sono impiantate per la forza dell’abitudine nell’organismo, generalmente in modo più o meno permanente.
Ecco perché l’uomo ordinario non può fare; è una macchina reattiva non troppo complicata che è forzata a rispondere sempre nello stesso modo in ogni situazione contingente che assomigli a quelle situazioni in cui è stato condizionato a rispondere quando era molto giovane. Per questa ragione il suo “io” è senza aiuto e anche in caso di emergenza può continuare indisturbato nel suo assopimento.
La presenza, per l’uomo ordinario, non è necessaria. La macchina di per se può fare per lui tutto quanto la vita richiede. Anche se ci prova con impegno, non può interferire con la macchina; la macchina è troppo potente.
L’uomo ordinario non ha emozioni reali. Ciò che egli chiama in se stesso “emozione” è in realtà solo “il riflesso del centro motore” che si riverbera attraverso i suoi organi e muscoli. La macchina ha solo emozioni inferiori, riflessi del centro motore. Ciò che gli occultisti chiamano emozioni superiori è Charlotte Russe (un dessert tipo bignè alla crema, molto dolce).
Nel lavoro dobbiamo imparare al più presto, dopo che incorporiamo nella nostra vita quotidiana la battaglia per generare la presenza di “io”, a sopportare le manifestazioni spiacevoli di altri nei nostri confronti. Le manifestazioni degli altri sono la causa principale del sorgere dei riflessi delle emozioni inferiori nel nostro organismo.
Non possiamo sopportare alcune manifestazioni degli altri perché sebbene queste possano essere le stesse manifestazioni che esprimiamo noi, esse significano, secondo il condizionamento che abbiamo ricevuto nella nostra infanzia, qualcosa di completamente differente di quanto possano significare per altri. Quando vediamo che il sig. Smith fa certi gesti ed impiega un certo tono, riteniamo che con questo egli intenda esattamente quello che noi intenderemmo con quei gesti e quel tono.
Le emozioni negative che emergono in questo modo dall’errato giudizio di manifestazioni altrui non sono emozioni vere. Sono il sorgere automatico di riverberi organici causati dal semplice riflesso del centro istintivo-motore.
Se solo potessimo apprendere ad arrestare questi riverberi organici, a rendere atto tranquillo all’interno, potremmo apprendere a sopportare facilmente le manifestazioni spiacevoli e ad eliminare in noi la maggior parte della nostra negatività e della nostra sofferenza meccanica.
Dobbiamo apprendere a vivere senza emozioni negative. Non ne abbiamo bisogno per fare nulla. L’uomo senza emozioni negative può essere tutto ciò che vuole, persino un lavoratore per l’immortalità.
Sopportare tutte le manifestazioni di tutti è troppo per incominciare; può essere lo sforzo finale per un uomo reale senza virgolette.
Però sopportare una sola manifestazione di una persona che adesso non potete sopportare per tutta una giornata senza consentire un riverbero organico nel sé, questo potremmo essere in grado di farlo.
Che cosa pensate che significhi “riverbero organico”? Pensate a come quando qualcuno che sia per voi una “fonte ambulante di vibrazioni negative” sentite all’interno qualcosa o qualcos’altro che voi chiamate “risposta emotiva”. Magari il centro della sensazione è lo stomaco, o il petto, o risuona nelle orecchie.
Sempre con l’”idea di emozione”, percepirete alcune associazioni di sensazioni organiche che si riverberano attraverso l’organismo e scompaiono solo lentamente quando si sono miscelate come le vibrazioni generali della vita organica sulla terra. Questi riverberi di sensazione causati da impressioni esterne sono ciò che l’uomo chiama in sé “emozioni”. Egli confonde sentire con percepire (in inglese “feeling” e “sensing” N.d.T).
Poiché gli shock di impressioni esterne hanno impatto sui suoi centri, l’uomo ordinario consente loro di causare shock interni che si irradiano all’esterno da ogni centro, diffondendosi e riverberando attraverso il suo intero sistema organico comprese le ossa, il midollo, il sistema delle ghiandole linfatiche, il tessuto muscolare, gli organi di ingestione e di eliminazione, il suo flusso sanguigno, la parte superiore del cervello ed il sistema nervoso.
Se egli cerca di ingerire cibo o di ragionare con se stesso durante questo riverbero organico, il suo cibo avrà un sapore completamente assolutamente insolito per lui e le sue relazioni ne soffriranno.
Tutte le sue sensazioni ed impressioni cambiano continuamente in relazione ai riverberi organici delle emozioni negative.

A questo punto madame parlò con tranquillità: “Il riverbero organico abbassa anche la resistenza del corpo alle energie elettriche”.

G. si illuminò e sorrise: “È molto importante. Vorrei avessimo oggi alcuni dispositivi che un tempo avevo per far vedere quanto questo sia vero. Il sorgere di emozioni negative crea un cambiamento corrispondente nella conduttività del corpo. Quando la resistenza si abbassa, può passare più forza elettrica. Il riverbero organico, che dipende dalla forza elettrica per la continuazione può in questo modo salire in spirale verso l’atto ad un crescendo in “momentum di procedimento automatico” (una forza che si convoglia in un effetto di crescita continua)”.

Madame: “Il punto è comprendere questo in modo realistico, non mistico o in qualche modo “filosofeggiare elevato”. Quando siamo portati via da noi stessi da questi riverberi organici di emozioni negative, al punto che non abbiamo più la possibilità di avere autorità sulle nostre manifestazioni, siamo schiavi del centro istintivo-motore, vero?”.

Vero – disse G. – Madame ha descritto quello che potrebbe essere chiamato “un orgasmo del centro motore”, un crescendo di energia negativa che si nutre di se stessa. Possiamo contenere questo in una “pentola a pressione” per fare un’esplosione controllata, una fusione alchemica. In questo modo possiamo imparare ad avere un orgasmo dell’emozione, ma non l’eiaculazione dell’espressione della negatività.

Madame aggiunge: “Possiamo imparare ad impiegare la nostra emozione in questo modo, contenendo le forze del riverbero organico delle emozioni negative attraverso la nostra macchina quando questo diminuisce di forza conformemente alle leggi relative all’ottava (tracciò un enneagramma nell’aria). È una riflessione interna di forze superiori, una “macchina organica di moto perpetuo” di energie al nostro interno.
Abbiamo tutti dei riverberi e possiamo imparare a separare l’emozione negativa dall’espressione delle manifestazioni, gli shock dalle impressioni, ed anche il lavoro mentale del pensiero associativo.

G. sospirò profondamente. “Siete stati per troppo tempo schiavi di ogni disturbo, come l’acqua la cui superficie vibri dopo che gli è caduto dentro un sassolino. Naturalmente sempre ed in ogni cosa vorreste che le vostre acque rimanessero calme ed indisturbate. Quando le impressioni hanno un impatto sul centro istintivo-motore, è come un sassolino che cade nell’acqua, crea delle increspature che si irradiano all’esterno dal centro dell’impatto.
Pensate all’organismo come ad una pozza quieta, ed al sassolino come allo shock di impressione. In questo caso le increspature rappresentano “il riverbero organico dell’emozione negativa”. Alcuni tipi di sassolini creano uno shock maggiore, altri non tutta quella commozione. Ogni uomo ha il suo proprio repertorio di risposte a certi tipi di shock.

Gli shock sono il risultato di impressioni che vengono a noi dalla percezione di manifestazioni di altri, come pure per effetto di impressioni in generale.

Madame parlò di nuovo. Nell’esempio del sassolino che cade nell’acqua, dovremmo renderci conto che i riverberi non avvengono solo sulla superficie, ma anche sotto di essa. Sebbene non possiamo osservare i riverberi che avvengono sotto il livello dell’acqua in modo ordinario, possiamo arrivare a comprendere che sono molto potenti e che hanno una grande influenza sul nostro stato interiore.

Ciò che lei dice è vero – disse G. – L’uomo è un universo in sé. Ha tutto in se stesso, persino ciò di cui non ha bisogno per vivere. Ma abbiamo già parlato a lungo delle emozioni negative e la questione permane. Come possiamo arrestare il riverbero organico delle emozioni negative così da essere in grado di sopportare manifestazioni spiacevoli di altri in relazione a noi?

B. disse: “Potremmo evitare completamente i sassolini”.

Questa è la via del monaco – disse G. – Egli si segrega, e vuole solo impressioni provenienti da un’influenza più elevata. Ciò non vi è d’aiuto. Non possiamo impedire ad un sassolino di cadere se viviamo nella vita ordinaria. Non abbiamo autorità sul sassolino, né vogliamo averne. Su che cosa possiamo avere autorità”

Mi pare – disse S. – che la sola cosa su cui possiamo avere autorità sia l’acqua, ovvero il nostro proprio organismo.

Ah! – disse G. sorridendo – Per arrestare il riverbero organico dobbiamo assumere autorità sull’organismo in un modo speciale. Dobbiamo apprendere ad aprire l’acqua davanti al sassolino così che il sassolino non generi nessuna impressione se l’acqua non offre resistenza, il sassolino non può generare riverbero.

Non offrire resistenza significa sopportare manifestazioni spiacevoli. Dobbiamo imparare a “dividere il Mar Rosso”, e come Mosè abbiamo bisogno di un aiuto di tipo speciale e di un bastone di forza.

Capisco che cosa Voi intendiate per il Mar Rosso – disse Madame – quelle influenze Marziane in noi che dobbiamo imparare a dividere consentendoci di passare attraverso di esse senza perderci in esse. Non vi è però null’altro che possiamo offrire per la nostra battaglia con le emozioni negative, qualche cosa di più solido che possiamo impiegare adesso?

Vi è una tecnica supplementare – concordò G. – Possiamo vedere che coloro che stanno interno a noi non sono responsabili delle loro manifestazioni delle loro manifestazioni, che non hanno autorità su loro stessi e sono schiavi dell’organismo, con i centri istintivo-motore che agiscono da padrone.
Possiamo imparare ad avere pietà degli altri senza arroganza in noi. Possiamo vedere l’uomo ordinario come una vittima di ogni singola influenza della vita. Guardando a lui con genuina pietà possiamo fare per noi qualcosa che darà profitto in futuro. Guardare a lui con pietà ma mai con superiorità. Lui non è meno di voi. È vero, almeno in un senso, che lui è più furbo di voi. Non si inimica la natura in una battaglia per un obiettivo quasi disperato.
Se comprendiamo attraverso l’esperienza che tutte le emozioni ordinarie sono il riverbero organico riflesso dal centro istintivo-motore, possiamo imparare ad assumere autorità suoi nostri stati interiori, comprendendo che ciò che l’uomo ordinario chiama “emozione” è soltanto un brontolio del suo stomaco.
L’uomo ordinario è schiavo dei riverberi organici, il suo destino è determinato dal suo organismo. Si può dire che sia sotto l’incantesimo della vita organica sulla terra.
Può bere “un goccio” o assumere una droga per sfuggire temporaneamente dalla sua prigione di identificazione ma nulla di ciò che egli sappia fare in modo ordinario lo libererà per lungo tempo.
Vi sono tre linee di lavoro sulle emozioni negative; parleremo successivamente di queste. A volte concentriamo tutti i nostri esercizi in una grande rete per prendere il pesce grosso. Non siamo interessati al pesciolino che si usa da esca. Per adesso mi riposo. E voi … Perché siete seduti?

Questo era il segnale che la riunione era finita.

Tratto da: RE NUDO Numero 49 – anno VI, aprile 2001 
Traduzione di Marco Maria Bonello: ibjbon@tin.it


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sabato 4 luglio 2015

In viaggio con un Maestro Sufi – H.B.M. Dervish

“… ricorda che devi avere il senso dell’umorismo. Le persone ossessionate non ne hanno, ecco come puoi distinguere il vero dal falso. Poiché in realtà, gli ossessionati sono falsi”.
“Ma le cose dello spirito non sono serie? Non si deve, non si può deridere la religione”.
“Le persone non ridono della religione. Quando le persone spirituali ridono, ridono dell’imitazione della religione”.

C’era qualche altra ragione, mi chiesi, per cui un Sufi si presentava come qualcuno senza importanza, o in una veste che non significava nulla per la persona insensibile?
“Ci sono almeno altre due ragioni. La prima è che se il Sufi si veste come tale, dove va a finire la sfida alla ricettività dello studente? Egli deve vedere il “Re in ogni travestimento”, come dice l’aforisma Sufi. L’altra ragione è che ogni cosa di valore in questo mondo è minacciata, incluse le cose spirituali.

Ricorda l’aneddoto Sufi del pavone che amava strapparsi le piume.
Qualcuno gli chiese perché lo facesse.
“Egli rispose: Perché le persone mi inseguono per queste piume. Se non ne avrò, non vorranno null’altro da me e potrò vivere una vita tranquilla e inutile”.
Più tardi trovai questo racconto nel Quarto Libro del Mathnavi di Rumi, la sua opera principale.
L’anziano mi insegno anche che c’erano quattro “cancelli” verso la conoscenza superiore: la legge religiosa; la Via o Sentiero, l’Insegnamento e la sua osservanza; e la gnosi, l’esperienza o la percezione della Verità, che è chiamata Realtà Oggettiva.

Nell’introduzione al Libro Quindi del suo Mathnavi, Rumi chiarisce questo punto:
“La Legge”, egli dice, “è come apprendere la teoria alchemica da una persona o da un libro. Il Sentiero è come un processo alchemico. La Verità è l’effettiva trasmutazione del rame in oro”.

La maggior parte delle persone porta l’attenzione sulle cose che approva. Ma quando nei circoli Sufi qualcosa ti colpisce come strana o persino inaccettabile, allora dovresti prestarle una speciale attenzione, perché significa quasi sempre che un aspetto dell’insegnamento reale ha colpito i tuoi pregiudizi e che questi stanno cercando di rigettarlo, stanno cercando di tenerti in una stretta “schiavitù”.

 … disse Shah, “i Dervisci sono chiamati uomini santi senza percezione e i Sufi sono conosciuti come Dervisci che sono arrivati alla Conoscenza”.

Shah non si stanca mai di indicare che il ripetere della musica o dei movimenti, lo standardizzare le attività o persino gli insegnamenti, è la via dell’indottrinatore o del condizionatore e che la vera tradizione Sufi ha sempre operato contro l’inculcare dei modelli fissi nella gente. La conoscenza Sufi viene impartita con qualunque metodo si riveli idoneo.

“Dopotutto, poiché lo studente è così inferiore al Maestro, quale differenza può fare per una persona così elevata il rispetto dello studente?”
“Ci furono parecchi tentativi di dare una risposta, ma nessuna parve soddisfare il Siriano”.
“Devo rispondere io? Poiché è chiaro che avete bisogno del concetto di attitudine e posizione.
Se volete entrare in una stanza attraverso una porta bassa dovete chinarvi. Se pensate che inchinarvi sia servile quando è semplicemente necessario, non passerete mai attraverso la porta. L’insegnante è la vostra porta.
Il vostro insegnante non trae profitto dal vostro rispetto semplicemente perché è rispetto: ma voi sì. Se non onorate il vostro insegnante, non potete imparare; così sareste voi stessi a rimetterci. Ciò che l’insegnante guadagna è che se voi imparate da lui egli sarà in grado di fare il suo lavoro. Il rispetto reale, comunque, viene a uno stadio molto superiore, quando si può realmente apprezzarne la tremenda importanza.
A quello stadio, la vostra capacità di rispetto è ugualmente grande, così in effetti rispettate il suo ruolo e il suo essere molto di più di quanto sia possibile farlo allo stadio di principiante”.

Shah aveva qualcosa da dire anche circa la baraka, una forza intangibile che i Sufi, tradizionalmente, sono in grado di concentrare e proiettare. Shah la chiamava “l’armonizzazione della conoscenza con il recipiente potenziale”. Diceva che l’esistenza di questa forza veniva spesso sospettata da tutti: ma che era stata volgarizzata nell’idea comune di fortuna. Come la fortuna, la baraka è molto elusiva. Le persone che possono ricevere la baraka o che l’hanno ricevuta, possono mettersi al di fuori del suo campo a causa della loro attitudine, solitamente volendo cose che non sono necessarie. Quando questo accade, la baraka semplicemente cessa di operare.
La baraka può essere considerata simile alla forza che è stata parte delle culture primitive e che gli antropologi hanno chiamato Mana. Ma ha ulteriori dimensioni. È data a persone che sentono la necessità di mettersi in armonia con la Verità, non tutte queste persone, ma alcune.
Se le persone diventano personalmente avide al di là di un certo punto (conosciuto tecnicamente tra i Sufi come 'punto di tolleranza') la baraka si disperde. Molte imprese sono affondate a causa di questo. 

Shah ha sottolineato a più riprese che i Sufi non sono “antiaccademici”, ma sostiene semplicemente che il lavoro accademico dovrebbe essere oggettivo e non un perseguimento agonistico della conoscenza.

Egli mi disse: “Il mio riverito padre mi introdusse, molti anni fa, al metodo Sufi di trattare con l’erudizione. C’erano, egli disse tre Vie, tre categorie di apprendimento che sono:
La Via dello schiavo: colui che memorizza il materiale e lo segue senza deviazioni. Egli può considerare se stesso uno studente o persino uno studioso;
La Via dell’erudito: colui ce accumula materiale secondo il suo desiderio e che può sottoporlo a qualunque critica che ritenga giusta.
La via del saggio: colui che è in grado di estrarre dal materiale ciò che realmente contiene. Non troverà piacere nel memorizzare, né accetterà lodi per la sua memoria. Studierà solo ciò che darà vantaggi, non ciò che le persone l’hanno esortato a considerare importante e otterrà dal materiale di studio ciò che è più utile, che ha origine dalla verità e che porta alla Verità.
Non ho mai trovato errata questa diagnosi e ogni volta che l’ho applicata sono stato in grado di raggiungere la mia meta. Ho anche verificato il commento di mio padre su questo soggetto: La prima Via è quella dell’abitudine, la seconda quella dell’abitudine e dell’azione, la terza quella di fuggire dall’abitudine per arrivare alla comprensione dell’azione; così invece di essere manovrati da queste, possiamo manovrarle, se necessario.

Dopo che lasciammo Mashad viaggiammo sino al Kasmir, dove a Shah fu dato il benvenuto non come maestro Naqshbandi, ma come uno qualificato ad arruolare nuovi membri nell’Ordine Azimiyya (il grande), di cui egli è “ispettore”. Ecco un esempio dello stile con cui vengono usate le parole in questa cerimonia:
Sei il benvenuto in questa assemblea. Questa cerimonia segna il ricevimento di un nuovo venuto nei ranghi degli Amici e lo prepara per un viaggio con noi.
Se hai qualche riserva sul Sentiero o su qualcuno dei presenti, consigliamo di ritirati immediatamente. In questo caso puoi andartene ora. Se lo farai, non perderai la nostra stima o amicizia … (pausa).
Poiché non ti sei ritirato, devo ritenere che desideri restare con noi, per quanto lunga sia la strada? …
Devi sapere che la strada è lunga, il tempo è breve e le provviste sono scarse.
Realizzi che ci si aspetta che farai ciò che non vuoi fare?
E che non farai ciò che vuoi fare?
Realizzi che è più facile scivolare da un luogo elevato che da uno basso?
Sei preparato a fare un sacrificio materiale in segno del tuo scambiare il grossolano per il più sottile?”.

La presentazione continuava con altri parecchi paragrafi. Alla luce di ciò che avevo visto e di ciò che avevo imparato dalle domande rivolte di partecipanti a queste iniziazioni, ritornai una sera sugli appunti che avevo preso su qualcosa che avevo chiamato “La Prima Lezione di Shah”:
“Le persone tendono a pensare che gli studi Sufi assomigliano a quelli con i quali hanno più dimestichezza, come quelli comuni nei culti religiosi e mistici. Essi perciò associano i Sufi con ciò che in effetti non sono.
Gli studi Sufi, comunque, sono strumentali e prescritti individualmente. Dono anche successivi. Questo significa che sono intesi a causare un effetto quando l’effetto può essere causato. Altri sistemi sono caratterizzati dalla ripetizione di slogan, dal portare avanti osservanze stereotipate e così via. Quest’ultimo tipo di attività, tuttavia non è affatto un’attività religiosa. È più un processo per eccitare le persone a livello emotivo. È più un processo per eccitare le persone a livello emotivo.
La gente, in generale, spesso non riesce ad accostarsi agli studi Sufi, poiché normalmente crede siano ciò che non sono: sistemi didattici, ideologici o magici; invece di sistemi educativi e di sviluppo.
Per questa ragione, i Sufi si considerano diversi. Un Insegnante Sufi deve innanzitutto chiarire che il “modello” mentale (il preconcetto sui Sufi e sulla Via Sufi) che il nuovo venuto ha, potrebbe essere inadeguato. Perciò, è essenziale chiarire l’incomprensione prima che venga detta o fatta qualunque altra cosa”.

Quindi a Shah fu chiesto se ci fosse un particolare metodo per sviluppare la funzione che causa miracoli ed egli disse:
“È proprio il contrario. Innanzitutto, i miracoli accadono costantemente, ma le persone ne sono spesso inconsapevoli. Secondo, le persone generalmente inibiscono la loro percezione del miracoloso con l’esercizio di tre attitudini mentali.
Queste sono le stesse attitudini insite nella maggior parte delle persone e che in ogni caso devono essere eliminate prima che si possa progredire sulla Via Sufi. Esse sono:
Uno. La costante richiesta di attenzione;
Due. Le obiezioni alle esperienze quando si sta imparando;
Tre. L’aspettativa di ricevere l’insegnamento come, quando e dove l’individuo lo richiede”.

Una sera a New Delhi, ebbi l’occasione di raccontare una lunga conversazione che una volta avevo avuto a casa mia con un diplomatico, qualcuno completamente sconosciuto a Shah. In seguito Shah fece dei commenti su quest’uomo considerando la sua altezza e che, in base ad essa, gli avrebbe dovuto essere pieno di sé e così via. In effetti Shah sembrava descrivere quasi ogni caratteristica fisica del diplomatico anche se certamente non lo conosceva e le sue caratteristiche fisiche non erano mai entrate una sola volta in ciò che stavo dicendo.
Allora dissi: “Si vede che ho un’immagine mentale di lui dalla quale tu attingi tutto questo”.
“Nient’affatto” rispose, “tutti i discorsi riguardanti una persona, un luogo o una cosa, contengono dei frammenti d’informazione incollati ad essa. Se sei vigile puoi raccogliere tutto questo. Le persone non lo fanno, non perché non possono farlo, ma perché, attraverso un’abitudine insita fin dall’infanzia, la loro censura mentale le rigetta non appena si fanno vive.
Esse immaginano che una cosa del genere sia impossibile, così quando accade la cancelliamo”.
Non si può fare a meno di cercare delle spiegazioni quando si hanno esperienze come queste, ma Shah mi disse: “Più cercherai e meno comprenderai, poiché il modo convenzionale di comprendere le cose non può affatto comprendere queste. Una volta che con un’altra persona viene stabilito un certo tipo di rapporto, è possibile sentire ciò che sente e farle sentire ciò che tu senti”.

“Tutti i sistemi normalmente conosciuti, nel corso dell’addestramento e dell’indottrinamento, possono rendere 'schiavi' i loro seguaci e persino i loro capi. L’ossesso è catturato dalla sua ossessione. Nei sistemi ordinari l’ignoranza fa presumere alle persone: 'nessuno qui è schiavo'. Guardatevi attorno e ditemi chi non è schiavo.
Soltanto un insegnamento illuminato può affermare che tutti sono sottomessi a qualcosa. La questione è, naturalmente, se la sottomissione sia servitù.
Il cercatore deve riconoscere l’abilità dell’Insegnante e dovrebbe effettivamente sentirla. Il Sufi ha il diritto di essere servito, ma non ha il diritto di chiedere, come dice Ma ‘Ruf Karkhi. Essere Sufi significa non essere attaccato a nulla, né avere nulla attaccato a sé, come dice Nuri.
Tu dici di mettere in dubbio ogni cosa. Questo in effetti è il miglior modo per far sì che le persone si attacchino a te. Di loro di mettere in dubbio, di fare domande e avrai catturato il loro questionare. Dopo di che ti ubbidiranno, persino nel fare domande e saranno incapaci di non obbedirti. A meno che tu non mette in dubbio le domande stesse”.

Durante questa sessione con l’Insegnante gli parlai di una cosa che vedevo come una difficoltà per gli Occidentali. “Le persone in Occidente” dissi, “sono abituate alla loro peculiare versione della religione che implica anzi, mira a produrre, degli stati emotivi. Possono essere biasimati se quando incontrano le idee Sufi pensano che manchino di un elemento spirituale?”.
“I veri Sufi”, egli rispose, “hanno sempre lavorato per rimuovere l’innaturale elemento emotivo dalla religione. È questa la parte che ha dato ad alcune religioni una cattiva fama, perché è questa parte che dà origine al fanatismo e alla guerra. Solo quando sarà liberata dalla parte emotiva, la religione potrà funzionare spiritualmente. Per quel che riguarda ciò che le persone potrebbero pensare”, continuò, “ci sono due risposte.
La prima è che questa non è affatto la nostra esperienza. Lo troviamo, naturalmente, in una minoranza ed essi possono ben essere i più vocali. La seconda risposta è che, nel mondo moderno, la scienza si sta avvicinando ai principi fondamentali della psicologia umana e di pari passo, sta sorgendo una domanda per fatti religiosi interpretabili secondo le basi della natura umana scoperte di recente o riscoperte di nuovo. Le persone che stanno lavorando in quest’area stanno lavorando con noi”.
In seguito, negli Stati Uniti e altrove vidi quanto ciò fosse vero. Gli scienziati moderni hanno ormai realizzato la differenza tra le attività che creano e aumentano il credo e quelle che forniscono conoscenza – una distinzione fatta molto tempo fa dai Sufi e generalmente ignorata.

“L’istinto del branco ci dice che è meglio essere con gli altri che da soli e ciò ha i suoi pregi e i suoi difetti”, ci spiegò il nostro insegnante di Abshar. “Il desiderio di attenzione blocca certe possibilità di comprensione”.

Shah mi disse in privato: “C’è un tempo in cui non si può fare nulla, un tempo in cui può essere fatto qualcosa e un tempo in cui tutto è possibile. Tienilo a mente, così da essere vigile nel discernere ogni differente qualità del tempo”.

Shah allora disse: “Quando ero solo un ragazzo e fui per così dire, gettato nel mondo, solevo chiedere cosa facevano le persone istruite per l’ignoranza dell’ignorante. Smisi di chiederlo quando qualcuno mi disse: “I presunti colti amano definirsi tali in contrasto ai presunti ignoranti. Essi hanno perciò tutto l’interesse a mantenere l’ignoranza. Se tutti gli abitanti di un paese fossero professori, tutti i professori sarebbero contadini”. Oppure, come avrebbe potuto dire Shah: “All’inferno un diavolo non è niente di particolare”. 


Fonte: In viaggio con un Maestro Sufi – H.B.M. Dervish