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martedì 1 ottobre 2013

Ho un corpo per guarirmi – Christian Flèche

Vedere la malattia altrimenti
Malattia: un’occasione in codice: quando sono costretto a rimanere tutto il giorno al sole mi abbronzo, e l’abbronzatura non è una malattia; è il sintomo di una reazione di adattamento.
Poi scende la notte, e sebbene io sia ormai lontano dal sole, l’abbronzatura rimane!
Possiamo dire che l’abbronzatura è la fase visibile dell’esperienza, mentre l’esposizione al sole è la fase invisibile. Il sole è l’azione, l’abbronzatura è la reazione. Analogamente, la malattia è una reazione (una fase visibile) che succede a un’azione (fase divenuta invisibile).

Il sintomo è una reazione di adattamento:
  • dell’individuo
  • del gruppo
  •  della specie
L’inconscio biologico ci governa fino a che diventiamo consapevoli dei suoi contenuti, e dunque riprendiamo in mano le redini della faccenda.
La leonessa metterà al mondo otto leoncini. I più veloci si accaparreranno le mammelle più ricche, quelle che contengono più latte: quelle superiori. Per sopravvivere bisogna essere veloci, afferrare rapidamente il cibo. Esiste un’impellenza inconscia.
Se qualche leoncino cade in un dirupo, la madre metterà in atto una soluzione biologica inconscia: l’inconscio biologico darà alle mammelle l’ordine di produrre più latte, per permettere ai leoncini sopravvissuti di ristabilirsi, avendo più cibo. E se per caso tutti i leoncini muoiono cadendo nel dirupo, o vengono uccisi da un nuovo maschio dominante che sopprime i piccoli del suo predecessore, la femmina vive immediatamente un altro conflitto biologico inconscio, che questa volta solleciterà le ovaie: avrà delle cisti, allo scopo di fabbricare più estrogeni per una nuova ovulazione, un nuovo slancio produttivo, mirato alla conservazione della specie. La leonessa andrà in cera del maschio, si accoppierà e avrà altri leoncini. Queste cisti non sono una malattia, ma sintomi di adattamento allo stress. I tumori alle mammelle della leonessa non sono una malattia, ma soluzioni di guarigione. Con questa visione del mondo, il sintomo ci appare come un adattamento biologico di sopravvivenza.

Se la tiroide produce più tiroxina per accelerare il metabolismo e far si che mi accaparri le mammelle superiori, questo avviene per la mia sopravvivenza personale. Se produco più latte, è per la sopravvivenza dei piccoli; se fabbrico più estrogeni e ovuli, è per la sopravvivenza della specie.

Qualsiasi sintomo è presente per curare ciò che lo ha provocato, l’obiettivo essendo in ogni caso quello di sottrarci allo stress, quale ne sia la forma.

All’inizio era la biologia … né psicologica, né simbolica: ma logica: la cosa fondamentale, qui, è capire bene che ciò che vive è prima di tutto iscritto in una realtà biologica.
L’ovulo e lo spermatozoo hanno ciascuno ventitré cromosomi, che si sommano quando si incontrano, sicché l’uovo ne possiede ventitré paia.
Nel corpo di una bambina sono presenti tutti gli ovociti, ossia gli ovuli, fin dalla nascita: ne ha 400.000, e proprio come i neuroni non si rinnoveranno mai.
L’uomo, invece, produce continuamente dei nuovi spermatozoi, che saranno efficaci solo dentro alle vie genitali femminili.
Durante la relazione sessuale, l’uomo eiacula circa 200 milioni di spermatozoi, che giungono nelle vie genitali femminili dove diventano attivi. Solo 400 di essi arriveranno nelle tube di Faloppio, gli altri rimarranno nelle retrovie a far da guerrieri nel caso in cui dovesse presentarsi l’eiaculato di un altro maschio. Avranno la funzione di neutralizzare chiunque venga dopo di loro. Esistono anche gli spermatozoi con funzione di intermediario, che servono da barriera sempre contro gli eventuali spermatozoi di un altro maschio. E poi ci sono quelli che tenteranno di fecondare l’ovulo.
Lo spermatozoo, che è maschile e attivo (l’attività tipica del polo maschile), quando arriva nel terzo superiore della tuba incontra un ovulo che è soprattutto passivo (il polo femminile è passivo). Un enzima specifico che si trova sulla testa dello spermatozoo dissolverà la prima delle tre membrane dell’ovulo, così da poterlo penetrare. A questo punto, l’ovulo stesso diventa attivo e gli spermatozoi rimasti fuori diventano inutili, passivi.

Fin dal primo istante della vita, l’aspetto femminile, quando è in conflitto, diventa attivo e il maschile diventa passivo. 
Non appena uno spermatozoo è penetrato nell’ovulo, questo produce una reazione chimica che impedisce l’accesso ad altri spermatozoi. Se non vi è fecondazione l’ovulo degenera in ventiquattro ore, ma se è fecondato la cellula-uovo, questa cellula unica, si divide in due nel giro di trenta ore. Poi nel giro di quaranta ore si divide di nuovo, in quattro, sedici … e il terzo giorno siano davanti a un insieme di cellule tutte simili, tutte identiche fra loro. Al quarto giorno esse giungono nell’utero nella cui mucosa si annideranno. Per certi versi si tratta di un corpo estraneo, di una specie di “parassita” che entra nel corpo, il quale però non deve respingerlo. Onde evitare il rigetto, hanno luogo alcuni fenomeni biologici: la vita futura è più importante di tutto il resto, e il corpo della madre deve passare attraverso una serie di fenomeni orientali all’accettazione biologica di una “altro da sé”. La madre si “decentralizza” per far luogo a qualcosa di molto diverso da lei: questo è davvero amore!

Non bisogna tuttavia perdere di vista il fatto che l’embriogenesi riassume la filogenesi (nascita della specie; modalità di formazione della specie; sviluppo delle specie nel corso dell’evoluzione). L’embriogenesi dura due mesi, mentre la filogenesi dura milioni di anni.
I primi due mesi della nostra vita sono i più lunghi della nostra esistenza: l’embrione (dal concepimento fino alla fine del secondo mese) riassume, nel suo sviluppo, l’evoluzione di tutta la vita. Passerà attraverso fasi in cui avrà una piccola coda, delle branchie come quelle dei pesci, dita palmate come quelle delle anatre, tre paia di reni come certi anfibi, o addirittura tutta una sfilza di mammelle, come certi mammiferi. Analogamente si differenziano i tessuti, che sono un abbozzo di tutti i grandi apparati (digestivo, renale …) poi regrediranno le mammelle e i reni superflui, le branchie e le dita palmate …

Ora suddivideremo questa evoluzione della vita in quattro stadi:
Primo stadio: nell’evoluzione delle forme di vita (filogenesi), il primo stadio corrisponde all’apparire e al mantenimento della vita (la sopravvivenza), assicurata da quattro funzioni principali:
  • nutrirsi (afferrare il cibo)
  •  respirare (afferrare del gas)
  • eliminare le scorie provocate dalla combustione del cibo e del gas
  • riprodursi, per garantire la continuazione della specie
Queste quattro funzioni sono presenti in ciascuna delle nostre cellule, e in ciascuno dei nostri comportamenti.
I tessuti creati dall’embrione che riassumono questo primo stadio dell’evoluzione sono legati a tutto ciò che è arcaico, vitale; essi soddisfano le quattro funzioni. Si trovano in una parte dell’apparto dirigente, con lo scopo di afferrare il “boccone” di cibo, ossia afferrare la vita sotto forma alimentare, e digerirlo; in una parte dell’apparto respiratorio per afferrare l’aria, ossia la vita sotto forma gassosa; nell’apparato renale, nella porzione inferiore dell’apparato digerente e in altri emuntori, per eliminare le scorie; nell’apparato genitale, che è organizzato per la riproduzione della specie. 

Secondo stadio: a livello della filogenesi corrisponde al passaggio di organismi viventi dall’ambiente liquido all’ambiente terrestre. La vita si è dunque trovata di fronte alla necessità di differenziarsi di più da un ambiente più denso, minerale, ed è diventata più vulnerabile alle aggressioni. Qualsiasi organismo è effettivamente composto perlopiù d’acqua (circa il 70% per il corpo umano).
Per capire quali tracce psichiche tale passaggio abbia lasciato in noi, bisogna tenere a mente la nozione del “dentro di sé”, la necessità di proteggersi, di mettersi al riparo da attacchi di ogni sorta. Avremo, qui, dei conflitti derivanti dal sentirsi aggrediti, “insozzati” e minacciati nella propria integrità.
In questo secondo stadio, l’embrione costituisce organi che hanno funzione protettiva, come il derma (la pelle profonda, che corrisponde a unghie e capelli; ma anche l’abbronzatura, destinata a proteggerci dal sole) e altre protezioni più specifiche: per esempio, la pleura che potrebbe i polmoni, il peritoneo che protegge l’intestino, il pericardio che protegge il cuore, le meningi che proteggono il cervello, la tromba di Eustachio che protegge l’orecchio medio …
La ghiandola del seno fa anch’essa parte di questo “foglietto embrionale”: si tratta di una ghiandola sudoripara che ha subito una modificazione per poter produrre latte.

Terzo stadio: a livello della filogenesi corrisponde alla comparsa della struttura. La vita ha superato il livello della sopravvivenza, e quello della protezione, dunque può cominciare ad esplorare il mondo. Per questo ha bisogno di costruirsi una struttura, un’individualità che dia un senso a tutto questo. Compaiono i muscoli e le ossa in base a un interrogativo: perché andare altrove, perché fare una data cosa? Ha valore? Se non ha né senso né valore, allora non esisterà la manifestazione fisica corrispondente.
Se devo nuotare avrò bisogno di pinne; se devo volare, spunteranno le ali. Ma se non ho bisogno di nuotare, lungo il corso delle generazioni le pinne finiranno per scomparire. Si tratta quindi di svalutazione biologica, non psicologica: ciò che non serve a niente, scompare.
A questo punto l’embrione produrrà i tessuti connettivi, le ghiandole corticosurrenali, le ossa, i muscoli, i legamenti, i tendini, i gangli, le vene, le arterie, il grasso.
Ed è in questo ambito che, negli esseri umani, si situa il sentimento della propria individualità e del proprio valore: qualcosa che ci rende distinti dall’ambiente, ma è contemporaneamente in continuità con il “tessuto” circostante. Le cose insomma non riguardano più i nostri confini, ma riguardano noi stessi, certe nostre preoccupazioni profonde che ci spingono a interrogarci: “che importanza hanno, queste preoccupazioni, nel mio spaio interiore?”. Se tale importanza è eccessiva, allora si corre il rischio di autosvalutarsi, di cancellarsi entro lo spazio della propria coscienza, un fenomeno che ci spingerà anche a capire che, in fin dei conti, nessuno e nulla che provenga dall’esterno possono invaderci davvero senza che noi stessi ne siamo complici, il che ci dà sempre un buon punto d’appoggio per ritrovare un sano equilibrio.
La nota dominante di questo stadio sarà imprimere la direzione, il senso, il movimento, per l’esplorazione del mondo, la struttura interna. I conflitti che toccheranno gli organismi responsabili della struttura interna verranno vissuti in termini di svalutazione (ossia di svilimento) e direzione.

Quarto stadio: a livello della filogenesi imprime all’organismo la traccia certa di un’evoluzione maggiormente volta all’esterno; si tratta della vita relazionale, e riguarda gli organi sensoriali, il sistema nervoso, e certi organi che in questa quarta fase vanno a completare e a elaborare quelli costituiti nelle tre fasi precedenti (esempio i bronchi, che serviranno per collegare gli alveoli polmonari con l’esterno, oppure gli ureteri che collegano i reni con l’esterno).
La conseguenza di questa evoluzione sul piano della psiche umana è che non siamo soltanto rinviati a noi stessi, ma più che altro “proiettati” da noi stessi in un ambiente sempre più vasto, dinamico, complesso. Diventa allora impossibile non prestare attenzione a ciò che accade fuori, non è più possibile non essere in relazione.
Questo quarto livello è quello in cui si imprimono i conflitti relazionali, così come conflitti molto più intellettuali ed elaborati.


Fonte: Ho un corpo per guarirmi – Christian Flèche