Translate

venerdì 30 dicembre 2011

La Quarta Via – P.D. Ouspensky

La Quarta via è una strada speciale, non c’è rinunzia esteriore alle cose, in quanto tutto il lavoro è interiore. Un uomo deve iniziare il lavoro nelle stesse condizioni in cui si trova allorché si imbatte in essa, perché queste condizioni sono per lui le migliori.

Il primo principio è che l’uomo non deve credere a nulla; egli deve apprendere; perciò la fede non entra nella Quarta Via. Uno non deve credere a ciò che sente o a ciò che gli viene consigliato, deve trovare da solo le prove per ogni cosa.

Gli individui credono o non credono allorché sono troppo pigri per pensare. Voi dovete scegliere, dovete essere convinti.
Questo sistema è basato sulla comprensione, ma ognuno comprende qualcosa a suo modo. La comprensione deve essere più vasta.
La convinzione che allo scopo di comprendere qualcosa sia necessario definirla è completamente sbagliata, perché la maggior parte delle cose non può essere definita e le poche che possono esserlo, lo possono solo relativamente, con l’aiuto di altre cose.
Conoscenza senza comprensione sarà inutile, saranno semplicemente altre parole.
Ascoltate qualcosa che ha un giusto posto nel sistema, e se potete metterla dove le spetta, non potete dimenticarla ed essa rimarrà là; ma se voi semplicemente ricordate ciò che è stato detto senza metterlo al suo giusto posto, esso è completamente inutile.
Comprendere è una funzione combinata di tutti i centri (intellettuale, emotivo, istintivo e motorio). Separatamente, ciascun centro può solo sapere; allorché essi mettono assieme tutto il loro sapere, ciò dà conoscenza.
Se potete osservare una cosa dal punto di vista di un centro, di un altro centro e di un terzo centro, allora comprendete realmente.

La Quarta Via a volte è chiamata la strada del “furbacchione”. Questi è a conoscenza delle tre strade tradizionali:
  • La via del Fachiro (lunga, difficile e insicura. Si lavora sul corpo fisico per vincere il dolore fisico)
  • La via del Monaco (più breve, sicura e precisa. Richiede fede)
  • La via dello Yogi (la via della conoscenza e della consapevolezza)
ma sa anche di più.
Esistono situazioni talmente difficili che uno non può andare dritto; è necessario essere “furbi”.

Possiamo capire se abbiamo preso la strada giusta per noi dai risultati. Indubbiamente nella maggior parte dei casi, essi vi appariranno da principio come acquisizioni intellettuali, in quanto acquisite nuove idee, nuove conoscenze. Ma le cose sono combinate in modo che acquisire nuove idee nel sistema è in rapporto con un cambiamento nella comprensione, nell’attenzione, nella volontà … non si possono ottenere nuove idee in una maniera giusta senza un certo cambiamento.

Nelle scuole di Yogi o nella strada religiosa si può andare avanti per molto tempo senza comprendere, facendo solo ciò che viene detto. Quei i risultati sono proporzionali alla comprensione.

L’idea della Quarta Via è che essa elimina dalle tre strade tutto ciò che in esse è inutile, perché oltre a cose necessarie le tre strade hanno altre cose che ci sono rimaste puramente per tradizione, imitazione e così via.

Nella Quarta Via tutti e quattro i centri debbono essere più o meno “vivi”, alla superficie, aperti per ricevere impressioni, altrimenti è necessario un lungo lavoro per aprirli prima di cominciare.

Cosa significa sviluppo? Significa lavorare nei quattro centri, solo che l’ordine dei centri in cui l’uomo lavora è diverso nelle diverse strade. Nella Quarta Via il lavoro viene fatto contemporaneamente nei quattro centri (intellettuale, emotivo, istintivo e motorio).

Psicologia come studio di noi stessi

L’uomo può conoscere quattro stati di coscienza (che possono essere definiti secondo le possibilità che essi offrono di conoscere la verità), ma l’uomo comune vive tra sonno e veglia:
  • SONNO, non possiamo sapere nulla della verità. Anche se percezioni o sentimenti reali giungono a noi, essi si mescolano ai sogni, e in questo stato di sonno, non è possibile distinguere i sogni dalla realtà.
  • STATO DI VEGLIA, possiamo conoscere solo una verità relativa: di qui il termine coscienza relativa.
  • COSCIENZA DI SÉ, possiamo conoscere tutta la verità su noi stessi.
  • COSCIENZA OBIETTIVA o OGGETTIVA, siamo in grado di conoscere la verità su tutto.
Nello stato di veglia abbiamo maggiore opportunità di distinguere la differenza tra le cose: la forma delle cose è scorta dal nostro occhio, la superficie delle cose dal tatto, e, in una determinata misura, possiamo orientarci mediante le percezioni dei nostri strumenti sensori.

Studiando l’uomo nel suo stato presente di sonno, assenza di unità, meccanicità e mancanza di controllo, troviamo varie altre funzioni sbagliate che sono il risultato del suo stato: in particolare, l’identificazione, l’immaginazione, il mentire a se stessi e agli altri costantemente, le emozioni negative, il parlare continuamente, considerare.

L’identificazione ha sempre un elemento emozionale: una sorta di turbamento emotivo, ma qualche volta diventa un’abitudine, sicché uno non nota nemmeno l’emozione.

L’amore è impossibile con l’identificazione, in quanto essa uccide tutte le emozioni tranne le emozioni negative. Anche il distacco è legato all’identificazione.

L’identificazione si verifica quando siete attratti o respinti da qualcosa.

Noi non notiamo la temperatura del nostro corpo tranne quando questa diviene più alta o più bassa del normale. Allo stesso modo possiamo notare l’identificazione allorché è più forte o più debole del solito. Confrontando questi gradi possiamo vedere cosa essa sia.

È un processo, non un momento; siamo in esso tutto il tempo. Spendiamo la nostra energia in maniera sbagliata nell’identificazione e nelle emozioni negative; essi sono rubinetti aperti da cui scorre via l’energia.

La noia è anch’essa identificazione: una delle più grandi. È identificazione con sé, con qualcosa in sé.

Anche l’immaginazione è un problema, abbiamo parecchie cose immaginarie che dobbiamo buttar via prima di poter arrivare alle cose reali.
L’immaginazione però ci può aiutare se controllata costantemente e non lasciando che evada da noi.
Se la controlliamo, possiamo vedere cosa significhi una cosa, cosa essa implichi.
Sicché se la usiamo, ci può aiutare a vedere se veramente vogliamo ciò che diciamo di volere o no, perché molto spesso vogliamo qualcosa di diverso, o non ci rendiamo conto che una cosa ne porta con sé un’altra. Non possiamo volere una cosa da sola, se vogliamo una cosa, ci potrà capitare di avere altre cose con essa.
Soltanto quando sappiamo ciò che vogliamo, sapremo dove stiamo andando e lo sapremo in maniera giusta.
Occorre conoscere il nostro scopo e lo scopo deve essere sempre nel presente e riferirsi al futuro.

Il maggior errore che facciamo riguardo a noi stessi è quello di considerarci come uno; parliamo di noi stessi come “io”, mentre in realtà siamo divisi in centinaia di centinaia di “io” differenti.

Ogni personalità o gruppo di “io” significa qualche speciale inclinazione o speciale tendenza, oppure qualche volta avversione.

Non sa di non aver solo un “io”, ma parecchi “io” differenti, collegati con i nostri sentimenti e desideri, i quali non hanno un “io” che li controlla. Questi “io” cambiano continuamente; uno soffoca l’altro, uno rimpiazza l’altro, e tutta questa lotta forma la nostra vita interiore.

Se trovate qualcosa che vi è decisamente piaciuta durante tutta la vostra vita fin dall’infanzia, vedrete che c’è una certa personalità costruita attorno ad essa.

Le antipatie sono di solito accidentali, perciò non fidatevene, ma esistono cose che vi sono sempre piaciute e ne esistono altre che immaginate soltanto vi piacciano.

Quando cominciamo a dividere noi stessi e a sapere che a ogni momento è solo un “io” o un gruppo di “io” che parla, allora siamo più vicini alla consapevolezza di noi stessi, più vicini ai fatti obiettivi.

Inizialmente occorre rendersi conto che non si può essere consapevoli quando lo si vuole. Il tempo migliore per rendervi conto di ciò è dopo che avete parlato o fatto qualcosa.

L’osservazione di sé è sempre diretta a qualche precisa funzione.

Nei momenti di tranquillità dovete essere capaci di vedere quando siete in errore. L’attenzione è diretta sia su me stesso, sia sulla cosa che vedo. Questa doppia attenzione è la forma di pensiero corrispondente ad un’altra forma di consapevolezza.

Dobbiamo cominciare da dove siamo. Poi, se continuiamo, il ricordare noi stessi diverrà gradualmente più emozionale.
Es. “Io sono qui”, “Io sto penando”, qualsiasi tipo di momento emozionale, di shock emozionale, vi fa percepire “io sono”.
Ricordare se stessi è efficace solo se ci si rende conto che non si ricorda se stessi ma che uno può ricordare se stesso.

Potete fermare i pensieri, ma non dovete rimanere delusi se da principio non potete. Dovete esercitare continuamente sforzi. Perciò non dovete farlo a lungo. Se lo fate per pochi minuti è più che sufficiente, altrimenti persuaderete voi stessi che lo state facendo e invece non fate altro che starvene tranquillamente a pensare e sarete assai soddisfatti di ciò.

Se vi trovate in un momento di forte tensione emotiva, e allora cercate di ricordare voi stessi, essa rimarrà dopo che la tensione è passata e allora sarete capaci di ricordare voi stessi.

Ricordare se stesso è un esperimento, un giorno può avere successo ed un altro giorno insuccesso. Può essere più profondo e meno profondo.

Dovete cominciare con piccoli sforzi, quale, cercare di ricordare voi stessi, o cercare di arrestare i pensieri tre volte al giorno.

Una mente controlla le funzioni intellettuali, un’altra mente completamente diversa controlla funzioni emotive, una terza controlla quelle istintive, e una quarta, anch’essa del tutto diversa, controlla le funzioni motorie. Noi le chiamiamo centri: centro intellettuale, centro emotivo, centro motorio e centro istintivo. Essi sono completamente indipendenti. Ciascun centro ha la propria memoria, la propria immaginazione e la propria volontà.

La capacità di ricordare se stessi va sviluppata, perché nell’osservazione di noi stessi dobbiamo cercare di studiare le nostre funzioni separatamente l’una dall’altra: la funzione intellettuale separatamente da quelle emozionale, l’istintiva separatamente dalla motoria. In determinati momenti della giornata, dobbiamo cercare di vedere in noi stessi cosa pensiamo, come sentiamo, come ci muoviamo e così via.

Per esempio cercate di scoprire cosa state pensando, perché lo pensate e come lo pensate. Cercate di osservare le sensazioni fisiche quali calore, freddo, ciò che vedete, ciò che sentite.

La mente motoria ha una funzione importantissima nella nostra vita, sicché l’assenza di questa divisione danneggia gravemente i risultati dell’osservazione ordinaria dell’uomo; perché, dato che questo fatto non è riconosciuto, parecchie cose vengono attribuite a un’origine sbagliata.
Il centro motorio è importantissimo per studiare e osservare, in quanto esso ha altre funzioni oltre al movimento nello spazio, ad esempio l’imitazione. Inoltre il centro motorio controlla anche i sogni, e non solo i sogni notturni ma anche i sogni allo stato di veglia: i sogni ad occhi aperti. Noi riteniamo che l’aspetto intellettuale ed emotivo siano più importanti, ma in realtà la maggior parte della nostra vita è controllata dalla mente istintiva e motoria. Perciò il centro motorio ha parecchie funzioni utili e parecchie inutili.
Centro motorio significa solo la mente, la cui funzione legittima è quella di controllare i movimenti. Motorio e meccanico non sono la stessa cosa. Ogni centro può essere meccanico; ogni funzione può essere più o meno meccanica, più o meno consapevole.

Per lungo tempo dobbiamo lavorare dal centro intellettuale, tuttavia dobbiamo comprendere che non possiamo andar lontani con esso perché ha limiti ben definiti; esso vi porterà fino ad un centro oltre il quale non potete procedere, a meno che possiate usare il centro emozionale. Ma il centro emozionale va prima addestrato.
Dovete apprendere a non esprimere emozioni negative, e solo se lo farete per un periodo sufficientemente lungo, vi potranno essere spiegate altre cose.

Come si fa a distinguere tra emozione e istinto? Le emozioni istintive sono sempre connesse con qualcosa di fisico. Dato che la psicologia moderna non separa le emozioni istintive dalle altre emozioni, ci deve essere per forza qualche difficoltà nel comprendere la differenza.

C’è una cosa qualsiasi che possa controllare organi e cellule che non obbediscono? Sì, il centro istintivo. Dobbiamo cominciare con l’intelletto, perché il nostro centro intellettuale è più sotto il proprio controllo, mentre il centro emotivo è più irresponsabile.

Tutto il lavoro del centro intellettuale consiste nel confrontare.

La divisione nel centro istintivo è elementare: piacere-dolore.

Anche il centro emotivo sembra diviso in emozioni piacevoli e spiacevoli, ma in realtà non è così. Tutte le nostre emozioni violente e deprimenti e, generalmente, gran parte della nostra sofferenza mentale hanno lo stesso carattere; sono innaturali, e il nostro organismo non ha un vero centro per queste emozioni negative; esse funzionano con l’aiuto di un centro artificiale. Questo centro artificiale – una sorta di escrescenza – è gradualmente creato in noi fin dalla prima infanzia, perché un bambino cresce circondato da persone con emozioni negative e le imita. Le emozioni istintive possono essere negative, ma sono tutte utili. La metà negativa del centro istintivo è un guardiano che ci avverte del pericolo. Nel centro emozionale le emozioni negative sono assai dannose.

Le parti meccaniche non hanno bisogno di attenzione. Le parti emozionali richiedono grande interesse o identificazione, attenzione senza sforzo o intenzione, in quanto l’attenzione è presa e mantenuta dall’attrazione dell’oggetto stesso. E nelle parti intellettuali dovete controllare la vostra attenzione. Quando vi siete abituati a controllare la vostra attenzione, vedrete immediatamente ciò che intendo dire. Per prima cosa il carattere dell’attenzione vi mostrerà in quale centro vi trovate, poi l’osservazione dell’attenzione vi mostrerà la parte del centro.
È importante osservare le parti emozionali e studiare le cose che attraggono e mantengono l’attenzione, perché queste producono immaginazione.
L’attenzione può essere controllata, l’identificazione è meccanica.

Se l’attenzione è fissa su qualcosa, l’immaginazione si arresta.

Bisogna limitarsi a osservare le cose come sono e cercare di classificarle più o meno in funzioni intellettuali, emozionali, istintive e motorie.
Ci sono due forme di lavoro sbagliato dei centri. O essi interferiscono, cioè lavora uno invece dell’altro, o uno prende energia dall’altro.
Nello stato di identificazione, essi preferiscono fare il lavoro sbagliato piuttosto che il proprio lavoro. È divenuta una sorta di cattiva abitudine, e confondendo le funzioni, i centri cominciano a confondere le energie, cercando di ottenere energie più potenti per le quali non sono adatti.
L’essere umano è una macchina complicatissima e va studiato come una macchina. Ci rendiamo conto che allo scopo di controllare qualsiasi tipo di macchina, come ad esempio un’automobile o una locomotiva, dobbiamo cominciare con l’imparare. Non possiamo controllare queste macchine istintivamente; eppure per qualche motivo, pensiamo che l’istinto comune sia sufficiente a controllare la macchina umana, sebbene questa sia tanto più complicata. Questa è una delle prime supposizioni sbagliate: non ci rendiamo conto che dobbiamo apprendere, che il controllo è una questione di conoscenza e di abilità.

Il controllo delle emozioni negative è cosa difficilissima.
Il primo passo sta nel cercare di non esprimere queste emozioni negative; il secondo passo è lo studio delle emozioni negative stesse, facendone elenchi, scoprendo le loro relazioni – in quanto alcune sono semplici e alcune complesse – e cercando di comprendere che sono assolutamente inutili.
Il terzo passo, dopo una certa quantità di studio e di osservazione è possibile arrivare alla conclusione che possiamo liberarci delle emozioni negative, che non sono obbligatorie.
  
Due cose sono sempre presenti nelle emozioni negative: identificazione e immaginazione negativa.
Per essere liberi dalle emozioni negative, dobbiamo essere capaci di impedire che sorgano? No perché non possiamo controllarle. La funzione intellettuale è la più lenta, poi vengono la funzione motoria e istintiva, che hanno una velocità approssimativamente uguale, e che è enormemente più rapida di quella intellettuale. La funzione emotiva dovrebbe essere ancora più veloce, ma generalmente funziona pressappoco alla stessa velocità di quella istintiva.
Quindi le funzioni motorie, istintive ed emozionali sono assi più rapide del pensiero ed è perciò impossibile cogliere le emozioni col pensiero. Quando ci troviamo in uno stato emotivo, esse si succedono così rapidamente da non darci il tempo di pensare. Ma possiamo avere un’idea della differenza di rapidità confrontando le funzioni del pensiero con quelle motorie. Se, effettuando qualche rapido movimento, cercate di osservare voi stessi, vedrete che non potete. Il pensiero non può seguire il movimento. O dovete fare il movimento lentissimamente o non potete osservare. Questo è un fatto certo. Potete però ricordare, e ciò in seguito dà l’illusione di osservare. In realtà non potete osservare movimenti rapidi.
Abbiamo troppi punti di vista sbagliati sulle emozioni negative; le troviamo necessarie, o belle, o nobili; le esaltiamo e così di seguito. Ci dobbiamo liberare di tutto questo. Dobbiamo perciò ripulire la nostra mente per quanto riguarda le emozioni negative. Le emozioni negative sono basate su qualche tipo di debolezza, perché alla base delle emozioni negative c’è generalmente un tipo di indulgenza verso se stessi. È molto importante osservarci nelle piccole cose, quotidiane manifestazioni della funzione motoria e della funzione istintiva (cioè le nostre sensazioni di piacevole e spiacevole, caldo e freddo: sensazioni come queste che passano sempre attraverso di noi).
Quando siete in mezzo alle emozioni negative, non potete arrestarle; è già troppo tardi. Non dovete lasciarvi trascinare dalla stizza; non dovete giustificarla.
Possiamo dire: “ho avuto quest’emozione negativa durante tutta la vita. Ne ho ricavato un solo soldo? No. Ho solo pagato, pagato, pagato. Ciò significa che essa è inutile”.
Crediamo che le emozioni negative siano prodotte dalle circostanze, mentre tutte le emozioni negative sono in noi, dentro di noi. Sono prodotte da noi stessi. Nessuna emozione negativa può essere prodotta da cause esteriori se non la vogliamo. Abbiamo emozioni negative perché le permettiamo, le giustifichiamo, le spieghiamo con cause esterne, e in tal modo non lottiamo contro di esse.
Siamo troppo abituati ad esse; e non possiamo dormire senza di esse.
Se distruggiamo l’identificazione, le emozioni negative si faranno più deboli da sole. Ma è anche necessario il cambio dei propri punti di vista.
Dapprima dovete semplicemente studiare e cercare di lottare contro le espressioni delle emozioni negative. Ora, se lottate contro un’emozione, vi può capitare invece di crearne due. Col tempo, indirettamente, si può acquistare il dominio delle emozioni. Ma il primo passo è lo studio.
Quando si prova un’emozioni spiacevole, è necessario non esprimerla, l’idea è di creare resistenza, altrimenti non possiamo osservare.
Lo sfogarsi come sollievo è un’illusione. Ci fa perdere energia. Ora non abbiamo vita emozionale, ma soltanto un’imitazione.
Io non ho mai detto “Sopprimete”. Ho detto: “Non esprimete, trovate ragioni per non esprimere”.
Prima di tutto dovete studiare le vostre emozioni negative e classificarle. Perché vi vengono, cosa le porta … il vostro unico controllo sulle emozioni è per mezzo della mente: ma esso non è immediato. Se pensate in maniera giusta per sei mesi, allora esso influenzerà le emozioni negative. Se cominciate a pensare correttamente oggi, esso non cambierà domani le vostre emozioni negative.
In alcuni casi le emozioni negative di paura, appaiono utili, altrimenti la gente attraverserebbe sempre la strada senza guardare. Voi parlate di paura istintiva. La paura emotiva è diversa, essa è basata sull’immaginazione.
Se esprimete un’emozione negativa siete in suo potere, in quel momento non potete fare nulla. Quando avrete appreso a non esprimerla, potrete cercare di non identificavi, di creare un atteggiamento giusto, e di ricordare voi stessi.
È necessario pensare giustamente per lungo tempo; poi verranno i risultati: non di colpo. È una faccenda di mesi o anni creare atteggiamenti giusti.
L’identificazione in rapporto alla gente prende una forma speciale che, in questo sistema, è chiamata considerare. Ma considerare può essere di due tipi: quando consideriamo i sentimenti degli altri e quando consideriamo i nostri.
È importante osservare il considerare:
  • Il considerare esterno è una forma di ricordare se stesso in relazione alla gente.
  • Il considerare interno significa camminare sulle persone senza notarle (il fare calcoli, sentirsi sempre ingannati, mal pagati, non considerati …)
Considerare interno significa identificazione, il considerare esterno significa lotta con l’identificazione.
Non potete comprendere le persone soltanto nella misura in cui comprendete voi stessi.
Col considerare interno desiderate produrre un’impressione e ne producete una diversa.

Ciò che chiamiamo la nostra volontà nel senso comune non è altro che la risultante di desideri.
La volontà può esistere nell’uomo che ha un “io” che controlla, ma finché ha parecchi “io” che non si conoscono tra loro, egli ha esattamente altrettante volontà diverse.
Tutte le cose nel mondo, siano esse grandi o piccole, in qualsiasi scala, sono basate su due leggi fondamentali che in questo sistema sono chiamate la Legge del Tre e la Legge del Sette.

Legge del Tre: tre forze entrano in qualsiasi manifestazione, in qualsiasi fenomeno e in qualsiasi evento. Esse sono chiamate positiva, negativa e neutralizzante; o attiva, passiva e neutralizzante; o prima forza, seconda forza, terza forza.
In parecchi casi comprendiamo la necessità di due forze: azione e resistenza. Ma, generalmente, non siamo consci della terza forza. Questa è connessa con lo stato del nostro essere, con lo stato della nostra consapevolezza. In un altro stato, ne saremmo consci in parecchi casi nei quali non la vediamo adesso.

Legge del Sette: nessun processo nel mondo procede senza interruzioni. Supponiamo che le vibrazioni cominciano con 1000 vibrazioni al secondo e aumentino a 2000 vibrazioni al secondo. Questo periodo è chiamato un’ottava, perché questa legge venne applicata alla musica e il periodo venne diviso in sette note e una ripetizione della prima nota.
L’ottava, particolarmente l’ottava maggiore, è in realtà un’immagine o formula di una legge cosmica perché, negli ordinamenti cosmici, entro un’ottava ci sono due momenti in cui le vibrazioni si abbassano da sole. Le vibrazioni non si sviluppano regolarmente. Nell’ottava maggiore ciò è evidenziato dai semitoni mancanti.
Se non ci fosse la Legge del Sette ogni cosa nel mondo andrebbe alla sua conclusione finale, mentre per effetto di questa legge, ogni cosa devia.
Es. se cominciasse a piovere non smetterebbe più, invece smette per effetto della Legge del Sette, perché in ciascun semitono mancante le cose deviano, non vanno avanti in linee rette.
Cntemporaneamente, la Legge del Sette spiega che, se sapete come farlo e in qual momento, potete dare uno shock addizionale a un’ottava e mantenere retta la linea.
Nel nostro lavoro personale dobbiamo apprendere come impedire che queste ottave devino, come mantenere una linea retta, altrimenti non troveremo nulla.

Quanto noi chiamiamo male è sempre meccanico, non può mai essere consapevole; e ciò che chiamiamo bene è sempre consapevole, non può essere meccanico.

La morale è sempre differente, cambia sempre. La coscienza invece non cambia mai.
Il male conscio è impossibile; la meccanicità deve essere inconscia.

Tutte le persone in condizioni ordinarie di vita vivono sotto due tipi di influenze. Prima vengono le influenze create nella vita: influenze A: interesse della vita, lotta per l’esistenza, desideri, eccitamenti, divertimenti, desiderio di ricchezza, di fama … Le influenze A sono meccaniche fin dal principio.
Possono essere interessi legittimi nella vita, se non sparite in esse, sono del tutto innocue. Bisogna accettare tutto ciò che capita, soltanto non identificarsi. Non è questione di farne a meno, c’è solo il problema di avere qualche interesse nelle influenze B, di non essere interamente sotto il potere delle influenze A.
Poi ci sono altre influenze che provengono dalla vita esterna, che funzionano nelle stesse condizioni sebbene siano diverse, e noi le chiamiamo influenze B (religione, filosofia, letteratura) le quali sono consce all’origine.
Queste due influenze determinano il successivo sviluppo dell’uomo. Se l’uomo accumula influenze B, i risultati di queste si cristallizzano in lui e formano un certo tipo di centro di attrazione che noi chiamiamo: centro magnetico. Il centro magnetico sta nella personalità, perché noi non siamo nati con esso: è creato nella vita. È un gruppo di “io” che, in determinata misura, può controllare altri gruppi di “io”. Alcune di queste personalità sono giuste, ma altre intralceranno sempre il vostro cammino e dovranno essere controllate o eliminate.
Questa massa compatta di ricordi e queste influenze attraggono il centro magnetico in una determinata direzione o gli fanno prendere un’altra direzione.
Quando si è formato il centro magnetico in un uomo sarà più facile per lui attirarsi più influenze B e non essere distratto da influenze A.
Nelle persone ordinarie le influenze A possono prendere una tale quantità del loro che nulla è lasciato alle altre influenze ed esse sono scarsamente influenzate dalle influenze B. Ma, se questo centro magnetico nell’uomo cresce, allora dopo un po’ di tempo egli incontra un altro uomo, o un gruppo di persone, da cui può apprendere qualcosa di diverso, qualcosa che non è incluso nelle influenze B e che noi chiamiamo influenza C. Essa è conscia nell’origine e nell’azione e può essere trasmessa solo mediante istruzioni dirette.
Le influenze B possono venire tramite libri e opere d’arte e qualcosa del genere, ma l’influenza C può venire solo mediante contatto diretto.
  
Il desiderio di distrarsi è connesso col centro magnetico. E il centro magnetico dipende da ciò in cui uno è interessato.
I risultati delle influenze B, il ricordo di esse, si riuniscono separatamente in un compartimento speciale e formano ciò che chiamiamo un centro magnetico.
Il centro magnetico è una combinazione di determinati interessi e associazioni emotive che lo indirizza in una direzione precisa. È un certo ciclo di idee e un certo ciclo di emozioni. Questa è l’origine dell’interesse in questo tipo di idee. È il centro magnetico che aiuta l’uomo a comprendere e discriminare.
Dopo un po’ di tempo il centro magnetico (gruppo di “io”) comincia a controllare e a determinare la sua direzione generale nella vita, e il corso dei suoi interessi, o di una parte dei suoi interessi. Centro magnetico significa cercare cose precise ed essere al livello di certe cose.
L’accumulo di conoscenza non aiuta l’uomo a creare un centro magnetico.
Quello che era il centro magnetico prima di lavorare su di sé può in seguito divenire maggiordomo interinale, il che significa una personalità che conquista altre personalità e le guida: ma ciò non viene immediatamente.
Il maggiordomo interinale è molto superiore al centro magnetico. Il centro magnetico si forma dalle influenze B, mentre il maggiordomo interinale è formato dai propri sforzi. Il centro magnetico è il seme, il germe del maggiordomo interinale.

L’uomo non è ciò che crede di essere. Noi ci attribuiamo parecchie qualità che non possediamo. Noi non siamo consci. Se non siamo consci, non possiamo avere unità, non possiamo avere individualità, non possiamo avere un ego o un “io”. Tutte queste cose sono inventate dall’uomo per conservare l’illusione della consapevolezza. L’uomo può essere conscio, ma attualmente non lo è.
Il nostro pensiero ha acquisito parecchie cattive abitudini e una di queste è di pensare senza scopo. Il nostro pensiero si è fatto automatico, siamo completamente soddisfatti se pensiamo e sviluppiamo eventuali problemi marginali senza avere la minima idea del perché lo stiamo facendo.
Ogni studio, ogni pensiero e indagine deve avere un obiettivo, uno scopo in vista, e questo scopo deve essere quello di raggiungere la consapevolezza.
Essere meccanico significa dipendere dalle circostante esterne.
Per lungo tempo possiamo soltanto studiare.
I ruoli non sono creati; essi sono consci. Sono adattamenti alle circostanze.
Nessuno ama perdere le illusioni. La gente vuole cose positive senza rendersi conto di ciò che è possibile. Vuol sapere immediatamente cosa può ottenere. Ma prima deve perdere parecchie cose.
L’uomo è in prigione. Se si rende conto di essere in prigione, può desiderare di evadere. Ma può temere che, se evade, si potrà trovare in una situazione peggiore della precedente: perciò egli può adattarsi a rimanere in prigione.
Peccato in una definizione generale, è “tutto ciò che è inutile”; ma dobbiamo modificare questa definizione. Peccato è sempre il risultato di debolezza. Tutto ciò che fate contro il vostro stesso lavoro è peccato.

Cercate di fare un po’; i risultati verranno. Se tentate di fare troppo, non fate nulla. Ci vuole tempo, perché tanto a lungo la gente è stata in potere di emozioni negative, di immaginazione negativa, di menzogne, identificazione e cose di questo genere. Ma a poco a poco queste scompariranno. Non potete cambiare tutto di colpo. Dovete sempre pensare al passo successivo; soltanto a un passo.
Dobbiamo comprendere che non vediamo affatto le cose stesse. Vediamo, come nell’allegoria della caverna di Platone, soltanto le immagini riflesse delle cose, sicché ciò che vediamo ha perso tutta la sua realtà. Dobbiamo renderci conto di quanto siamo governati e controllati non dalle cose stesse ma dalle nostre idee delle cose, dalle nostre visioni delle cose, dalle nostre immagini delle cose.
L’uomo non è uno solo, egli è plurale, una moltitudine, consistente di individui che non si conoscono a vicenda e che lottano tra loro.
Una divisione importante è tra essenza e personalità.
  • Essenza è ciò che è innato in voi, è vostra. Rimane la stessa.
  • Personalità è ciò che acquisite, non è vostra. È troppo pesante, troppo forte; essa circonda l’essenza come guscio, sicché niente la può raggiungere direttamente, tutto deve passare attraverso la personalità.
Forte personalità significa forte influenza di ciò che non vi è proprio, di ciò che avete acquisito: parole di altre persone, teorie e punti vista di altri. Queste possono formare un crosta così spessa attorno all’essenza che nulla può penetrarla e raggiungervi, raggiungere ciò che voi siete.
Prima di raggiungere il guscio della personalità, o di romperlo, è necessario preparare altre difese. Se per una qualsiasi ragione questo guscio cade, gli individui si trovano senza alcuna difesa contro parecchie influenze difficilissime che essi non possono controllare.
La personalità è anche un certo tipo di difesa.
Essere è vita, è un processo. Essenza è un oggetto.
Occorre progredire su entrambe le linee: la linea di conoscenza e la linea dell’essere.
Fin dai primi giorni di scuola un uomo comincia a studiare la meccanicità, a impedire, emozioni negative, immaginazione, meccanicità, discorsi inutili, il sonno.
Attualmente la nostra personalità è interamente sbagliata. C’è troppa menzogna, troppo inganno di noi stessi, immaginazione, emozioni negative.
L’eredità praticamente non esiste nell’uomo. Le qualità sbagliate possono essere ereditarie, mentre le buone qualità non possono essere ereditate. I tratti fisici possono essere ereditati, ma non caratteristiche quali la consapevolezza di sé. L’essenza non può essere ereditata.
Mutare le caratteristiche dell’essenza è lavoro difficilissimo; richiede conoscenza e sufficiente energia, invece noi siamo deboli e non abbiamo conoscenza.
Supponete che uno abbia un’essenza pigra e che si voglia destare: egli può cambiarla dopo un lungo periodo di studi di sé. E lavorando sulla personalità, già in una certa misura lavoriamo sull’essenza.


La verità esiste senza di noi, ma uno può conoscere la verità solamente nella consapevolezza obiettiva.
La prima divisione naturale degli “io” è in base alle funzioni: intellettuale, emozionale, istintiva e motoria. Ma indipendentemente da queste, esistono parecchie altre divisioni che possono essere chiamate personalità differenti.

Personalità = differenti “io”.

Il vero studio di sé inizia con lo studio di queste personalità, perché non possiamo studiare gli “io”: ce ne sono troppi.

Con le personalità invece è più facile, in quanto ogni personalità o gruppo di “io” significa qualche speciale inclinazione o speciale tendenza, oppure qualche volta avversione.

Lo studio delle vostre simpatie particolari potrà aiutarvi. Per esempio, se trovate qualcosa che vi è decisamente piaciuta durante tutta la vostra vita fin dall’infanzia, vedrete che c’è una personalità costruita attorno ad essa. Abbiamo solo un certo numero di simpatie genuine.

Le antipatie sono di solito accidentali, perciò non fidatevene, ma esistono cose che vi sono sempre piaciute e ne esistono altre che voi immaginate solo che vi piacciano.
Lo sviluppo di sé comincia col centro magnetico, cioè con un gruppo di “io” o personalità interessate in determinate cose.

Quando un uomo s’imbatte in una scuola, il suo centro magnetico comincia ad accumulare conoscenza ed esperienza pratica e teorica, provenienti dallo studio dell’essere e in questa maniera esso in seguito diviene Maggiordomo Interinale.
Oltre a questa personalità ne esistono altre, alcune delle quali si possono sviluppare e altre che non sono assolutamente d’accordo in ciò.
Sicché alcune personalità possono partecipare al lavoro, altre sono neutrali, e finché non sono d’intralcio, gli si può consentire di rimanere per qualche tempo, altre debbono essere eliminate.

Allorché il centro magnetico si è trasformato nel Maggiordomo Interinale, voi prendete alcune decisioni, formulate un certo scopo, intraprendete un determinato lavoro. Allora esso può scoprire quale personalità possa lavorare con lui e quale no. Se una personalità è contraria al nostro scopo e può danneggiarlo, non lo vuole, o non lo conosce, allora ovviamente non può lavorare col Maggiordomo Interinale. Perciò esse debbono essere scelte, ma prima bisogna conoscerle. Poi, quando le personalità sono messe in ordine e raggruppate intorno al centro magnetico (o Maggiordomo Interinale) esse possono produrre un effetto sull’essenza proprio con la loro esistenza.

La coscienza prende parte alla formazione del Maggiordomo Interinale, ma non potete dire che essa sia il Maggiordomo Interinale, in quanto la coscienza è molto più grande.
Il centro magnetico è il terreno da cui cresce l’”io” permanente. Attraverso varie trasformazioni il centro magnetico molto, molto più tardi, diviene “io” permanente.
La falsa personalità è sempre avversa al lavoro per lo sviluppo di sé e rovina il lavoro di tutte le altre personalità. Non può mai essere utile. La falsa personalità è tutta falsa e può persino fingere che le piaccia qualcosa che a “voi” non piace e che non le piaccia qualcosa che a “voi” piace veramente.

Studiando la falsa personalità cominciamo a vedere sempre più meccanicità. Parallelamente alla percezione della nostra meccanicità, studiamo come uscirne mediante la creazione di qualcosa che non sia meccanico. Come possiamo farlo? Dobbiamo pensare a ciò che vogliamo, separare l’importante da non importante. Lavorare su noi stessi, desiderare di conoscere noi stessi e le idee del lavoro, lottare per creare consapevolezza, non sono meccanici: possiamo esserne certi.

Tutti gli “io” illusori scompaiono poco a poco e l’”io” reale gradualmente si fa sempre più forte, principalmente tramite il ricordare se stesso.
Nel cercare di ricordare se stessi, è necessario mantenere i nessi con tutte le altre idee del sistema.
Se uno lavora seriamente sul ricordare se stesso senza conoscere l’idea della divisione degli “io”, e quindi egli si prende per uno (come un’unità) fin dal principio, allora il ricordare se stesso darà risultati sbagliati e potrebbe persino rendere impossibile lo sviluppo.

Supponiamo che uno cerchi di ricordare se stesso e non desideri fare sforzi contro la falsa personalità. Allora entreranno in gioco tutte le sue caratteristiche dicendo: “A me non piace quella gente”, “io non desidero questo”, “non voglio quello”, e così di seguito. Quello non sarà lavoro, ma esattamente l’opposto.
Soltanto una piccola parte di voi desidera ricordare se stesso; altre personalità, altri “io”, non lo vogliono affatto. È necessario scoprirli e smascherarli, per vedere qual è utile per il vostro lavoro, quale indifferente e quali sono talmente addormentati da non potere saper nulla di ciò.

Lo scopo è aver controllo sui propri “io”, o personalità, essere capaci di selezionare uno o l’altro, sistemarli in una determinata maniera.
Nella maggior parte dei casi siamo soddisfatti di un’idea filosofica dell’”io”; riteniamo di averlo e non ci rendiamo conto che in realtà passiamo da un “io” all’altro.

Cominciate col rendervi conto che tutto è falsa personalità, poi cercate di scoprire ciò che non lo è. Non potete fare la seconda cosa prima della prima.

Bisogna anche ricordare che la falsa personalità spesso è piuttosto attraente e divertente, specialmente per gli individui che vivono nelle loro false personalità. Perciò, quando cominciate a perdere la vostra falsa personalità, quando cominciate a lottare con essa, non piacerete alla gente. Essa vi dirà che siete diventato noioso.

Come si fa a vedere ciò che non è falsa personalità?
Una cosa che la falsa personalità non può fare è compiere sforzi. Questa è la maniera più facile per saperlo, se siete in dubbio. La falsa personalità cerca sempre di rendere tutto il più facile possibile, sceglie sempre ciò che richiede il minimo sforzo. Dovete invece comprendere che non potete imparare nulla o cambiare nulla senza sforzo.

Quindi, quando trovate un “io” o un gruppo di “io” che sono pronti a compiere sforzi, ciò significa che non appartengono alla falsa personalità.

Come si può eliminare la falsa personalità?
Non potete eliminarla. È esattamente lo stesso che se cercaste di tagliarvi la testa. Però potete renderla meno insistente, meno permanente.

Lo studio della falsa personalità non è analizzare se stessi? Credevo che ciò fosse una casa cattiva.

In una certa misura esso è analizzare. Ho affermato che l’analisi era impossibile perché non sapere abbastanza. Analisi significa stabilire cause ed effetti. Perciò da principio ho detto che dovete astenervi dall’analisi e soltanto osservare, osservare, osservare, niente di più, perché il tempo dell’analisi sarebbe venuto quando avreste conosciuto le leggi.

Ora stiamo studiando queste leggi, di conseguenza dovete analizzare sempre di più. Sia difficoltà che possibilità crescono tutto il tempo.
Esistono parecchie cose che potete fare con piacere soltanto se non ricordate voi stessi, e naturalmente questi “io” saranno nemicissimi del ricordare se stessi, perché esso non farà altro che rovinargli il piacere, cercate di scoprirli in questa maniera. Gli approcci teorici non saranno d’aiuto.

Come faccio a ricordare la mia percezione che gran parte della sofferenza emotiva sta nella falsa personalità?
Soltanto ricordando voi stessi. Il soffrire è il miglior aiuto possibile per ricordare se stesso, se imparate a usarlo. Da sé non aiuta: uno può soffrire durante tutta la propria vita e ciò non gli darà un granello di risultato, se egli però apprende ad usare la sofferenza, questa gli sarà di aiuto. Nel momento in cui soffrite, cercate di ricordare voi stessi.


Fonte: La Quarta Via, P.D. Ouspensky


domenica 27 novembre 2011

Mindfulness e Cervello – Daniel J. Siegel

Essere consapevoli della pienezza della nostra esperienza ci rende consapevoli del mondo interno della mente e ci immerge completamente nella nostra vita.
Per adattarsi al ritmo frenetico di questa società spesso i giovani si abituano ad alti livelli di attenzione connessa a uno stimolo, passando da un’attività all’altra senza avere tempo sufficiente per la riflessione su di sé o le relazioni interpersonali dirette, faccia a faccia, di cui il nostro cervello ha bisogno per crescere.
La mindfuilness, nella concezione più generale del termine, propone un modo di essere consapevoli che può servire come via d’accesso a un modo più vitale essere nel mondo: noi diventiamo sintonizzati con noi stessi.


Mente = processo che regola il flusso di energia e di informazioni.
La nostra mente è sia incarnata – implica un flusso di energia e informazioni che ha luogo nel corpo, incluso il cervello –, sia relazionale – la dimensione della mente che coinvolge il flusso di energia e di informazioni che ha luogo tra le persone.
Anche quando immagino che potreste essere e la vostra possibile reazione a quello che scrivo, sto modificando il flusso di energia e di informazioni del mio cervello e del mio corpo, intesi come un tutto.

Mindfulness riguarda il risvegliarsi da una vita vissuta in automatico e l’essere sensibili alle novità nelle nostre esperienze quotidiane. Il modo in cui focalizziamo la nostra attenzione ci aiuta a modellare direttamente la nostra mente. Quando sviluppiamo una certa forma di attenzione alle nostre esperienze nel qui ed ora e alla natura della nostra stessa mente, creiamo quella speciale forma di consapevolezza, la mindfulness.

Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che applicazioni specifiche della consapevolezza mindful migliorano la nostra capacità di regolare le emozioni, di contrastare la disfunzione emotiva, di migliorare i pattern di pensiero e di ridurre gli assetti mentali negativi.
Le ricerche di alcune dimensioni delle pratiche di consapevolezza mindful rivelano che esse rafforzano il funzionamento del corpo: la sua capacità di guarigione, le risposte immunitarie, la reattività allo stress e il senso generale di benessere fisico sono rafforzati dalla mindfullness (Davidson, Kabat-Zinn, Schumacher et al., 2003). Anche le nostre relazioni con gli altri migliorano, forse perché la capacità di percepire i segnali emotivi non verbali degli altri può esserne rafforzata e la capacità di sentire i mondi interni degli altri accresciuta .

Ellen Langer (1989, 1997, 2000) ha proposto il concetto di “apprendimento mindful”, un approccio che rende l’apprendimento più efficace, piacevole e stimolante. L’essenza di questo approccio è offrire il materiale da apprendere in uno stile condizionale anziché come una serie di verità assolute. In questo modo, colui che apprende deve mantenere la propria “mente aperta”. Coinvolgere colui che apprende in questo processo di istruzione è possibile se gli studenti pensano che il loro atteggiamento plasmerà la direzione dell’apprendimento (partecipazione attiva dello studente).
Le ricerche sull’apprendimento mindfull (Langer, 1989) suggeriscono che esso consiste nell’apertura alle novità, nell’attenzione alle differenze, nella sensibilità ai diversi contesti, in una consapevolezza implicita, se non esplicita, delle molteplici prospettive esistenti e nell’orientamento al presente.

Gli insegnanti possono usare termini come “può”, “potrebbe essere”, o “a volte”, anziché “è” per promuovere l’incertezza condizionale.
L’insegnante non deve alimentare l’illusione di possedere una conoscenza assoluta. Insieme, l’educatore e lo studente possono affrontarla sfida eccitante di sviluppare un insieme di conoscenze che comprende la natura della conoscenza, la sua dipendenza dal contesto ed è attento alla novità e alle distinzioni.

Da ora in poi useremo il qualificatore “apprendimento mindful” per riferirci alle importanti concettualizzazioni di Ellen Langer sul modo in cui la mente sembra liberarsi da conclusioni e categorizzazioni premature e da modi routinari di percepire e pensare. Quando abbiamo una certezza, sostiene Langer “non sentiamo il bisogno di prestare attenzione. Ma dato che il mondo attorno a noi è in costante mutamento, la nostra certezza è un’illusione”.
Questa forma di mindfulness è uno stato flessibile della mente in cui notiamo attivamente cose nuove, siamo sensibili al contesto e ci impegnamo nel presente. La forma antica di “mindfulness riflessiva” (consapevolezza mindfulness) ha iniziato da poco a essere studiata in modo intensivo, con nuove scoperte.

L’esperienza diretta del momento presente è stata descritta come una componente fondamentale degli insegnamenti del buddhismo, del cristianesimo, dell’induismo, dell’islamismo, dell’ebraismo e del taoismo (Armstrong, 1993; Goleman, 1988).

In queste tradizioni l’idea dell’essere consapevoli del presente ha un senso diverso rispetto a quello della mindfulness cognitiva.

Molte forme di preghiera di tradizioni religiose diverse richiedono all’individuo di fermarsi e di partecipare a un processo intenzionale, che permetta di mettersi in relazione con uno stato mentale o con un0entità che esula dal modo di essere quotidiano.

La preghiera e l’affiliazione religiosa in generale si sono dimostrate associate a un’accresciuta longevità e benessere (Pargament, 1997).

L’applicazione clinica della meditazione buddhista è stata oggetto di uno studio intensivo volto a indagare i possibili correlati neurali della consapevolezza mindful.
Questi studi trasversali rispetto a tutta una serie di situazioni cliniche, dalle patologie mediche con dolore cronico alle popolazioni psichiatriche con disturbi dell’umore e d’ansia, hanno dimostrato che un’applicazione efficace della mindfulness secolare può essere insegnata indipendentemente da qualsiasi particolare pratica religiosa o appartenenza gruppale.

Nella pratica contemplativa mindful, si focalizza la mente in modi specifici per sviluppare una forma più rigorosa di consapevolezza del momento presente che può alleviare in modo diretto la sofferenza della propria vita.

Secondo Kabat-Zinn: “Una definizione operativa della mindfulness è: la consapevolezza che emerge se prestiamo attenzione in modo intenzionale, nel momento presente e in modo non giudicante, al dispiegarsi dell’esperienza momento per momento”.
Riuscire a notare i propri giudizi e liberarsi da essi può essere il significato pratico di questo comportamento non giudicante.

Ci sono molti modi per coltivare la consapevolezza minful, ognuno dei quali sviluppa una consapevolezza delle facoltà della mente, come il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci rapportiamo agli stimoli. La meditazione mindful, sembra sia particolarmente importante per esercitare l’attenzione e allentare un’identificazione rigida con le attività della mente, cha a volte sembra esauriscano l’identità di un individuo.

In quasi tutte le pratiche contemplative, c’è un uso iniziale del respiro come punto focale su cui concentrare l’attenzione della mente.
Le applicazioni moderne del concetto generale di mindfulness si sono costituite a partire dalla capacità di meditazione tradizionale e hanno sviluppato degli approcci non meditativi specifici a questo processo umano dell’essere mindful.

Nella terapia dell’accettazione e dell’impegno (ACT[1]), la mindfulness “può essere intesa come un insieme di processi correlati che mirano il dominio delle reti verbali, il quale implica soprattutto relazioni temporali e di valutazione. Questi processi includono l’accettazione, la disidentificazione di se stessi” (Fletcher, Hayers, 2006, p. 315).

Uno studio sintetico di molti questionari sulla mindfulness (Baer, Smith, Hopkins et al., 2006) ha rivelato l’esistenza di cinque fattori che sembrano emergere da varie indagini indipendenti:
  • Non reattività rispetto all’esperienza interna (es. percepire sentimenti ed emozioni senza dovervi necessariamente reagire)
  • Osservare/notare/dedicarsi alle sensazioni, alle percezioni,l ai pensieri e ai sentimenti (es. rimanere in contatto con le proprie sensazioni e i propri sentimenti anche qualdo sono spiacevoli o dolorosi)
  • Agire in modo consapevole/non con il pilota automatico, concentrazione/non distrazione (es. non rompere o far cadere le cose per disattenzione, perché non vi si presta attenzione o perché si pensa ad altro)
  • Descrivere/etichettare con le parole (es. mettere facilmente in parole le proprie credenze, opinioni e aspettative)
  • Avere un atteggiamento non giudicante rispetto all’esperienza (es. non criticarsi perché non si provano emozioni irrazionali o appropriate).
Abbiamo circuiti neurali che ci permettono di svolgere parecchie attività in automatico (es. fare jogging mentre pensiamo ad altro). Ma fortunatamente, in genera quando viaggiamo non usciamo di strada né ci schiantiamo con la macchina in autostrada.

Per alcune persone, questo “vivere in automatico” è un modo routinario di vivere. Se la nostra attenzione è diretta a qualcosa di diverso rispetto a quello che stiamo facendo per la maggior parte del tempo, allora finiamo per sentirci vuoti e intorpiditi. Quando il pensare in automatico domina il nostro senso soggettivo del mondo, la vita diventa ripetitiva e noiosa. Anziché fare esperienza con un senso emergente di novità e scoperta, come fa un bambino che inizia per la prima volta a percepire il mondo, finiamo per sentirci morti dentro, “morti prima di esser morti”.
Vivere in automatico ci espone anche al rischio di reagire senza mindfulness alle situazioni, senza riflettere sulle varie possibilità di risposta che abbiamo a disposizione. Il risultato è che spesso reagiamo in modo automatico, come per riflesso, e queste nostre reazioni danno vita a riflessi simili nelle altre persone.
Essere mindful apre le porte non solo alla possibilità di essere consapevoli del momento in modo più pieno ma, avvicinando l’individuo a un senso più profondo del proprio mondo interno, offre l’opportunità di accrescere la propria compassione ed empatia. La mindfulness non è “auto-indulgenza”, bensì un insieme di abilità che accrescono la capacitò di stabilire relazioni amorevoli con le altre persone.
La mindfulness accresce la capacità di riempirsi delle sensazioni del momento e di sintonizzarsi con il nostro stato dell’essere.
La vita si arricchisce poiché siamo consapevoli della straordinaria esperienza di essere, di essere vivi, di vivere in questo momento.

Oltre a questa consapevolezza riflessiva della consapevolezza del momento presente, la mindfulness ha le seguenti qualità che descrivo ai miei pazienti e studenti: ci avviciniamo al qui ed ora con
  • Curiosità
  • Apertura
  • Accettazione
  • Amore (COAL: curiosity, openness, acceptance, love)
La distinzione tra essere consapevoli in modo COAL e rivolgere semplicemente la propria attenzione a quello che accade con idee preconcette che imprigionano la mente (es. non avrei dovuto sbattere il piede, sono così maldestro; perché non precipitata dalla scogliera? Cosa c’è che non va in me? …), è la differenza che fa davvero la differenza. Per coltivare la consapevolezza mindful dobbiamo diventare consapevoli della consapevolezza e del fatto che siamo in grado di notare quanto questi preconcetti, “dall’alto verso il basso[2]”relativi a ciò che dovremmo o non dovremmo essere ci impediscono di vivere in modo mindful, di essere gentili con noi stessi.
La sintonizzazione è il cuore di tutte le relazioni che implicano il prendersi cura di un’altra persona.
La consapevolezza mindful, è una forma di sintonizzazione con noi stessi, che crea benessere.

L’idea generale degli effetti benefici della mindfulness è che l’accettazione della propria situazione possa alleviare il conflitto interno che si scatena quando le nostre aspettative sulla vita non corrispondono a come la vita è in realtà.
Se si assume una posizione COAL, il resto va da sé. Non vi sono particolari obiettivi, non vi sono sforzi per “liberarsi” di qualcosa, ma semplicemente l’intenzione di essere, e specificatamente quella di fare esperienza dell’essere nel momento senza aggrapparsi a giudizi e obiettivi.
Da questo modo di essere riflessivo, mindful, emerge un processo fondamentale chiamata “discernimento”, in cui diventa possibile essere consapevoli del fatto che le attività della propria mente non siano la totalità di ciò che si è.
Il discernimento è una forma di disidentificazione dall’attività della propria mente: quando diventi consapevole delle sensazioni, delle immagini, dei sentimenti e dei pensieri (SIFT = sensation, images, feelings, thoughts) arrivi a vedere queste attività come delle onde che si muovono sulla superficie del mare della mente.
Questa capacità di liberarsi dal chiacchierio della mente, è liberatoria. Il discernimento ci dà anche la saggezza necessaria a interagire in modo più riflessivo e compassionevole con le altre persone.

Le funzioni della mente e del cervello sono correlate, ma in realtà non sappiamo esattamente in che modo l’attività del cervello e la funzione della mente si creino reciprocamente.

È stato dimostrato (Davinson e collaboratori, 2003) che un cambiamento della funzione cerebrale verso la dominanza del lobo frontale sinistro in risposta a stimoli che attivano le emozioni associate a uno stato mentale di avvicinamento con prevalenza di emozioni positive.
Questa prevalenza dell’emisfero sinistro nei circuiti della regolazione delle emozioni è connessa direttamente al grado di rafforzamento della funzione immunitaria.
Un altro studio di Lazar, Kerr, Wasserman e collaboratori (2550) ha rilevato un aumento dello spessore di due parti del cervello:
  • L’area mentale prefrontale, bilateralmente
  • Un circuito neurale, l’insula, particolarmente ispessito nell’emisfero destro.
Il grado di ispessimento di queste aree cerebrali correla con la quantità di tempo dedicata alla pratica della meditazione mindful.
Qui vediamo una correlazione sia dell’emisfero destro sia di quello sinistro con le pratiche di meditazione mindful.

Perché il modo in cui prestate attenzione al momento presente modifica il vostro cervello? Perché promuove la plasticità neurale, il cambiamento delle connessioni neurali in risposta all’esperienza.

La funzione della corteccia prefrontale è di tipo integrativo. Ciò significa che i lunghi assoni dei neuroni prefrontali raggiungono aree distanti e differenziate del cervello e del corpo. Questo legame di elementi differenziati è la definizione letterale di un processo fondamentale, quello di integrazione.

Lo sviluppo
Il sistema nervoso inizia a svilupparsi nell’embrione come ectoderma, lo strato più esterno delle cellule che andranno a formare la pelle.
Alcuni gruppi di queste cellule più esterne si ripiegano verso l’interno e formano il tubo neurale, il midollo spinale. Il fatto che i neuroni, le cellule fondamentali del cervello nascano “all’esterno” e poi viaggino verso “l’interno” del corpo sostiene, da una prospettiva emotiva, un’idea filosofica secondo cui ilo cervello ha origine nell’interfaccia tra il mondo interno e il mondo posto all’esterno dei nostri sé corporei.
Il nostro cervello è la parte superiore di un sistema nervoso esteso, che è distribuito in tutto il corpo.
Tutto il sistema nervoso centrale stabilisce la sua impalcatura di base, durante lo sviluppo nel ventre della madre. I geni sono importanti per determinare in che modo i neuroni migreranno e stabiliranno delle connessioni reciproche. Di fatto, la metà del nostro materiale genetico è direttamente o indirettamente responsabile della struttura neurale, cosa che rende i geni molto importanti per lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Più si avvicina il momento in cui il feto dovrà lasciare l’utero, però, più le connessioni tra i neuroni sono influenzate anche dall’esperienza.
Più il vostro sistema nervoso centrale, l’esperienza implica l’attivazione di scariche neurali in risposta agli stimoli. Quando i neuroni diventano attivi, le loro connessioni reciproche crescono e le cellule trofiche e i vasi proliferano. Questo è il modo in cui l’esperienza plasma la struttura neurale. La scarica neurale è l’attivazione dell’equivalente di un flusso elettrico, un potenziale d’azione, che viaggia per tutta la lunghezza dell’assone della cellula attivata fino al suo punto terminale, dove questa cellula rilascia neurotrasmettitori attivatori o inibitori nello spazio connettivo, la sinapsi.
Il neurone successivo, che riceve questa attivazione, scaricherà a sua volta o meno a seconda dell’equilibrio dei neurotrasmettitori attivatori o inibitori rilasciati dai neuroni presinaptici.
Cento miliardi di neuroni sono, in media, connessi tra loro reciprocamente grazie al fatto che ognuno possiede 10.000 connessioni sinaitiche che sono create dai geni e modellate dall’esperienza: la natura ha bisogno della cultura. Queste due dimensioni importanti dello sviluppo umano e del funzionamento neurale non sono in opposizione tra loro.
I neuroni si attivano quando noi facciamo un’esperienza. Con l’attivazione di un neurone si crea il potenziale per alterarne le sinapsi favorendo la crescita di nuove sinapsi, rafforzando quelle esistenti o stimolando la crescita di nuovi neuroni che creano a loro volta nuove connessioni sinaitiche.
La sinaptogenesi e la neuro genesi sono i modi in cui il cervello sviluppa nuove connessioni. Questa crescita utilizza sia i geni sia l’esperienza per produrre dei cambiamenti nella connettività dei neuroni: neuro plasticità è il termine utilizzato quando le connessioni tra i vari neuroni cambiano in risposta all’esperienza.
Esperienza significa un’attivazione neurale che, in alcune situazioni può promuovere l’attivazione di geni che a loro volta possono determinare la produzione di proteine che consentono il formarsi di nuove sinapsi e il rafforzarsi di vecchie sinapsi. L’esperienza può stimolare la crescita di nuovi neuroni (anche negli adulti).
Le cellule cerebrali non impegnate nell’attività neurale, cioè le cellule staminali neurali, si dividono regolarmente, e mentre un prodotto di questa divisione continua la linea della cellula staminale, l’altro, la “cellula sorella”, può essere stimolato a crescere in un neurone che ha una funzione di piena integrazione del cervello. Sappiamo per certo che negli adulti la neuro genesi si verifica nell’ippocampo, e queste cellule sorelle possono essere stimolate per un periodo di alcuni mesi fino a svilupparsi come neuroni integrati pienamente funzionanti (KempermannGastGage, 2002).

Neuroplasticità
L’esperienza può determinare dei cambiamenti strutturali nel cervello. Spesso questi cambiamenti hanno luogo al livello della macroarchitettura finemente sintonizzata del cervello, per esempio, quando facciamo nuove associazioni mnestiche. È molto difficile cogliere effettivamente questi cambiamenti strutturali, a meno che essi non siano molto significativi.

… le scariche ripetute dei neuroni di aree specifiche del cervello determinano un aumento significativo della densità sinaptica delle regioni attivate dalle pratiche mindful.
La consapevolezza mindful  è una forma di esperienza che sembra promuovere la plasticità neurale.
Quando focalizziamo la nostra attenzione in modi specifici, stiamo attivando i circuiti del cervello, e questa attivazione può rafforzare le connessioni sinaitiche delle aree coinvolte. Considerando l’idea che la mindfulness, in quanto forma di relazione con se stessi, possa coinvolgere non solo i circuiti dell’attenzione, ma anche quelli della socialità, possiamo indagare anche nuove dimensioni della controparte cerebrale della consapevolezza mindful.
I cambiamenti neuro plastici non solo rivelano alterazioni strutturali, ma sono anche accompagnati da cambiamenti nella funzione cerebrale nell’esperienza mentale (come un maggiore equilibrio di sentimenti ed emozioni) e negli stati corporei (come la risposta allo stress e la funzione immunitaria).

Il modo in cui facciamo attenzione stimolerà le scariche neuronali di aree specifiche che vengono attivate e mutano le loro connessioni nei circuiti integrati del cervello.

IL CERVELLO NEL PALMO DELLA NOSTRA MANO
Se prendete la vostra mano, mettete il pollice nel mezzo e lo ricoprite con le altre dita, allora avrete un modello del cervello facilmente accessibile e piuttosto accurato. Questo modello della mano è orientato in modo tale che il polso rappresenta il midollo spinale che si trova nelle nostre schiene, il volto della persona è collocato davanti alle unghie delle dita e la parte più alta della mano è la parte superiore della testa.
Il tronco encefalico è il palmo della mano, le aree limbiche sono il vostro pollice (idealmente, dovreste avere un pollice destro e uno sinistro in ogni mano), e la corteccia è rappresentata dalle vostra dita curvate.

Il tronco encefalico esegue processi di base importanti, come la
  • regolazione del battito cardiaco e della frequenza del respiro, gli stati di veglia e sonno, e gli aspetti della risposta di attacco-fuga (fight-flight-freeze).
Ben sviluppato sin dalla nascita, il tronco cerebrale è l’area evolutivamente più antica del cervello e a volte è chiamato cervello rettilineo.

La regione limbica si è evoluta quando i rettili si sono sviluppati in mammiferi.
Le zone limbiche sono impegnate
  •  nell’attaccamento (legami che si sviluppano con i nostri caregiver), nella memoria (specialmente nell’elaborazione degli eventi in memoria episodica e autobiografica), nella comprensione del significato, nella creazione degli affetti, delle sensazioni interne e delle emozioni.
Le regioni limbiche contengono anche il principale regolatore degli ormoni, l’ipotalamo, che esercita influenze dirette sul corpo vero e proprio.
La connessione endocrina, insieme all’influenza che il cervello esercita sul sistema immunitario e sui nostri stati corporei per mezzo del sistema nervoso autonomo, come le sue divisioni freno/acceleratore (branche del sistema parasimpatico e simpatico) è il nesso diretto tra cervello e corpo.
Le zone limbiche e il tronco encefalico, le due aree subcorticali, si combinano per influenzare le nostre pulsioni motivazioni e l’attivazione dei nostri bisogni di base di sopravvivenza, affiliazione e significato. 

La corteccia è la parte più esterna del cervello, ed è particolarmente sviluppata nei mammiferi. Essa ci permette di mediare i processi più complessi, come la percezione, la pianificazione e l’attenzione. Suddivisa in molti lobi che svolgono funzioni diverse, ci sono tanti modi per descriverne le capacità complesse di questa regione, che non è molto sviluppata alla nascita e perciò è particolarmente aperta all’influenza plasmatrice dell’esperienza.

La corteccia è un’area a sei strati composta da materia grigia e materia bianca. Questi strati sono composti da insiemi di colonne cerebrali organizzate in senso verticale con diversi gruppi di colonne che spesso processano una particolare modalità di attività, come la vista e l’udito. Queste colonne verticali sono connesse reciprocamente con degli interneuroni distribuiti in senso orizzontale che permettono un dialogo reciproco tra le diverse aree, cioè un’integrazione delle diverse modalità (vista, udito) in un insieme “trans modale” di scariche neurali. È questa connessione di aree separate che crea la significativa complessità che è la principale capacità della nostra corteccia cerebrale.

In generale, la parte posteriore della nostra corteccia – dalla seconda nocca all’indietro, se utilizziamo il modello della mano – elabora le percezioni che provengono dal mondo esterno, eccezion fatta per l’olfatto e per la consapevolezza delle posizioni degli arti. Queste regioni posteriori permettono agli esseri umani di farsi un’idea del mondo esterno sotto forma di percezioni.

La parte anteriore del cervello è responsabile dei processi motori, attentivi e cognitivi. I lobi frontali si sono evoluti quando siamo diventati primati. Gli studi suggeriscono che, nei mammiferi, più è alto il livello della vita sociale, più complessa ed estesa è l’architettura della corteccia frontale. L’area frontale – quella che va dalla seconda all’ultima nocca prima delle unghie, sempre utilizzando il modello della mano – è una regione in cui la prima zona si occupa delle azioni motorie, mentre quella successiva, procedendo in avanti, media la pianificazione dei movimenti – la corteccia premotoria. questa area premotoria è stata la prima regione in cui sono stati scoperti i neuroni a specchio, che ci permettono di interiorizzare le intenzioni e le emozioni delle altre persone e di creare in noi stessi questi stati come parte del più ampio “circuito della risonanza”.

Subito prima di queste aree motorie e premotorie c’è la corteccia prefrontale. Maggiormente sviluppata negli esseri umani, questa regione prefrontale media molte delle funzioni che consideriamo tipiche della nostra specie.
Le regioni prefrontali possono essere divise in vari modi che mediano funzioni diverse. Per adesso, le divideremo solo in due aree: le regioni prefrontali mediali e laterali.
Le aree della corteccia prefrontale in genere lavorano in modo sinergico, e pensare alla loro funzione come a un sistema può essere piuttosto utile.

L’area laterale della regione prefrontale, la corteccia dorso laterale, è importante nella meditazione della memoria di lavoro, la lavagna delle mente in cui scriviamo le cose che in un certo momento riteniamo più rilevanti. Quest’area laterale si occupa di importanti funzioni esecutive che permettono l’auto-regolazione dei nostri comportamenti e aiutano a influenzare il flusso della nostra attenzione momenti per momento.
L’area mediale – dalle unghie di medio e anulare alle nocche delle stesse dita – include varie regioni interconnesse che mediano le nove funzioni prefrontali.

Si tratta della corteccia orbito frontale (OFC), della corteccia del cingolato anteriore (ACC) e della corteccia prefrontale ventrolaterale (v1PFC) e mediale (mPFC). 

Questa linea intermedia ventrale e queste strutture mediali ricevono degli input diretti da tutto il cervello e dal corpo, con particolari contributi della corteccia dell’insula (IC). L’insula è il condotto per mezzo del quale le informazioni vengono trasferite da e verso la parte più esterna della corteccia, la parte più interna del sistema limbico (l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo) e le aree del corpo (per mezzo del tronco cerebrale e del midollo spinale). Sembra che le aree prefrontali mediali utilizzino i dati dell’insula sulle nostre emozioni e sullo stato del nostro corpo per creare delle rappresentazioni delle mani altrui.
Le aree prefrontali mediali sono essenziali per la comunicazione sociale e per l’auto-osservazione. Questa regione è un fulcro importante del circuito sociale del cervello.
Notate come la ragione prefrontale mediale connetta i processi del corpo, del tronco encefalico, della corteccia e i processi sociali in un’unità funzionale. Se distendete le vostre dita e poi le piegate di nuovo, potrete notare che in realtà le aree prefrontali mediali (rappresentate dalla parte terminale del medio e dell’anulare) toccano, dal punto di vista anatomico, tutto il cervello, e questa è la natura dell’integrazione neurale: connessioni sinaitiche estese in tutto il corpo che ci mettono in relazione anche con le altre persone.
L’integrazione neurale, la coordinazione e l’equilibrio del cervello grazie a cui le diverse aree sono connesse tra loro per formare un tutto funzionale, sembra essere promossa dalla sintonizzazione delle relazioni di attaccamento sicuro. Pare che la mindful promuova questa integrazione neurale per mezzo di una forma di sintonizzazione intrapersonale. La consapevolezza dell’esperienza che facciamo momento per momento ci dà la possibilità di sentire e accettare direttamente la nostra esperienza mentale.

Integrazione neurale, mindfulness e auto-regolazione
L’integrazione neurale è la relazione che si stabilisce tra regioni neurali, anatomicamente o funzionalmente differenziate, in un’interconnessione di aree più ampiamente distribuite del cervello e del corpo. Queste interconnessioni a livello strutturale, prendono la forma di connessioni sinaitiche e creano una forma di coordinazione ed equilibrio a livello funzionale. 
La cultura è il modo in cui si trasmettono i significati tra gli individui e tra le generazioni. Il modo in cui questo flusso di energia e informazioni modifica i suoi pattern nel corso del tempo è ciò che deriva dall’evoluzione culturale. La realtà dei mutamenti della nostra specie non è dovuta a un’evoluzione geneticamente determinata del nostro cervello, ma all’evoluzione mentale del modo con cui trasmettiamo collettivamente energia e informazioni nel corso delle generazioni. Questa è l’evoluzione della mente, non del cervello. Un punto di vista sostiene che la mente (il flusso di energia e informazioni) per esistere ha bisogno di utilizzare l’attività del cervello per i propri scopi. In questo senso, la mente usa il cervello per creare se stessa.
Una delle sfide maggiori alla nostra capacità di prestare attenzione al momento presente sono i pattern di attivazione cerebrali dall’alto verso il basso (ricordi, credenze, emozioni) che ci bombardano con scariche neurali e chiacchiere mentali e ci allontanano dalla possibilità di essere nel momento.

Primo passo della mindfull indirizzare e sostenere la nostra attenzione (attraverso il respiro).
Sembra che sperimentando le sensazioni riusciamo a fare semplicemente esperienza senza l’interferenza del pensiero.
Non importa da quanto una pratica, l’esperienza di “perdersi fra le nuvole c’è sempre”. Questo è semplicemente il modo in cui funziona la mente. Costruire la consapevolezza ci aiuta a vedere il pensiero come qualcosa che emerge e poi svanisce. Il pensiero perde il suo potere di sequestrarti e farti prigioniero.


Fonte: Mindfulness e CervelloDaniel J. Siegel




[1] ACT (Acceptance and Commitment Therapy) è una terapia cognitivo-comportamentale che incoraggia il paziente ad accettare, invece di controllare, le sensazioni spiacevoli. Le principali componenti dell’ACT sono: riconoscere la poca utilità degli sforzi fatti per sentirsi meglio (imparare a “lasciare andare”); considerare che i nostri pensieri sono solo pensieri, non sono ciò che interpretiamo siano; accettazione/permettere all’esperienza di essere ciò che è mentre si sta determinando; contestualizzare se stessi, nel senso di identificarsi con colui che osserva i pensieri e infine riconoscere il valore di ciò che dà significato alla vita.
[2] Si riferisce al modo in cui i ricordi, le credenze e le emozioni plasmano le nostre sensazioni dirette.